di Enrico Villa
Nel 2017, molti sindaci delle regioni della Pianura Padana hanno emanato ordinanze per stroncare la consuetudine ottocentesca di bruciare in campo le paglie di grano, riso, anche mais. La ragione principale contro una abitudine che un tempo aveva un significato poetico e che invitava gli appassionati agli scatti fotografici: la produzione incontrollata delle mefitiche particelle, meglio conosciute dall’opinione pubblica come PM10. Le stesse particelle, provocate dalla paglia che brucia, oltre che dalle vecchie marmitte di automobili, autocarri e trattori, si insinuano nei nostri polmoni provocando asma e altre gravi affezioni fino alle neoplasie dell’apparato respiratorio. In rapporto alle PM10, che sono sempre più nocive in mancanza di piogge abbondanti, complicano progressivamente l’inquinamento atmosferico, come è stato nell’anno che finisce, testimonianza eloquente della situazione meteorologica in via di imprevisti cambiamenti i quali incidono visibilmente sulla agricoltura. Infatti le particelle si aggiungono all’ozono, che non è mai benefico nonostante alcuni sostengano il contrario, e l’aria che respiriamo e che anche assorbono le piante diventa un pericoloso assieme di veleni.
La Regione Piemonte, che ha istituito la Carta dell’aria, ha messo a disposizione schede facilmente accessibili che si riferiscono puntualmente alle diverse situazioni quotidiane nei diversi territori regionali e ha avvertito con percentuali precise: l’aria che respiriamo è fatta allo 0,1% di altri gas, allo 0,9% di Argon, al 20,3% di Ossigeno, al 78% di Azoto. Rilevando l’aria nelle centraline disseminate nelle diverse province piemontesi sono anche state tracciate e pubblicate analisi delle serie storiche nell’ultimo decennio riguardanti il Monossido di carbonio, il Biossido di azoto, le particelle sospese nell’aria, l’Ozono, il Piombo, il Biossido di zolfo, il Benzene. I grafici relativi alle medie annuali o invitano ad una certa tranquillità, o suscitano allarme che consiglia vigilanza e provvedimenti conseguenti. E’ il caso del Biossido di azoto, del PM 10, del Piombo, dell’Ozono. A proposito di questo ultimo, gli specialisti argomentano che l’Ozono si concentra ad una altezza dal suolo fra i 30 e i 50 chilometri e che protegge la Terra dalle radiazioni ultraviolette emesse dal Sole. Quando la concentrazione manca si verifica il dannoso buco dell’Ozono. In realtà, esso è un gas di odore pungente e di colore blu che, specie nei mesi estivi, contribuisce, grazie al forte irraggiamento del Sole, allo smog fotochimico. Gli specialisti sono inoltre categorici sugli effetti del gas con concentrazione variabile in relazioni alle condizioni meteorologiche. L’Ozono – è la annotazione – è responsabile anche di danni alla vegetazione e ai raccolti, con la scomparsa di alcune specie arboree dalle aree urbane. E ancora, secondo la indicazione degli specialisti: E’necessario affrontare il “problema Ozono” alla radice, cercando di sviluppare azioni ed interventi strutturali che abbiano come obiettivo la riduzione delle emissione degli Ossidi di Azoto e che, nel breve periodo, siano mirate ad informare la popolazione sui rischi legati all’inquinamento da Ozono ed a promuovere comportamenti che ne limitino gli effetti.
L’inquinamento dell’aria è parte di un capitolo più ampio che riguarda la salute della Terra. Fino alla seconda metà del XIX secolo non esistevano riferimenti statistici. Poi nel 1880 si incominciarono ad effettuare i primi rilievi i quali documenterebbero come il nostro Pianeta non è più assolutamente in salute, con grave danno per le coltivazioni dalle quali dipende l’alimentazione delle popolazioni. Più di mezzo secolo fa, per la precisione nel 1966, in Italia è stata avviata la legislazione per la tutela dell’ambiente, minacciato da cause naturali (i vulcani) o dagli incendi e dalle installazioni produttive. Il maggior numero di regole giuridiche contro l’inquinamento nel nostro Paese si è avuto fra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta, subito dopo la Direttiva CEE 96/62. Successivamente le maggiori competenze sono passate alle regioni che – è il caso del Piemonte – pubblica il Bollettino dell’aria a cura dell’Arpa, efficiente istituzione operativa piemontese. Nella regione i provvedimenti e i protocolli, l’ultimo dei quali con legge regionale varata il 20/10/2017, fanno capo ad Alberto Valmaggia, cuneese e assessore all’ambiente. Oltre agli altri problemi ambientali l’agricoltura regionale è particolarmente assillata dalla eliminazione con bruciatura delle paglie di riso che generano PM10. Nel suo ultimo numero L’Agricoltore (direttore Paolo Guttardi) Confagricoltura ha proprio richiamato che, per garantire la qualità dell’aria, deve essere abbattuto lo smog derivante dalla bruciature delle paglie e deve essere affrontata in modo diverso la siccità contrastandola con nuove banche dell’acqua, ovvero nuove dighe. Ma su queste problematiche, secondo l’Agricoltore, l’agricoltura ha svolto un ruolo di capro espiatorio, come hanno dimostrato i più recenti studi dell’Ispra, istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, evidenziando che l’agricoltura ha responsabilità inferiori allo stimato, ma è l’unica a pagare in termini di costi e burocrazia. E tutto anche riguarda lo spandimento dei liquami e i generatori di elementi di inquinamento dell’aria. Un appello per affrontare il futuro è rivolto all’assessore Alberto Valmaggia, al governo regionale e, per i controlli stringenti, all’Arpa suo organismo strumentale
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