di Gianfranco Quaglia
Il 26 settembre cade il primo anniversario dell’ingresso ufficiale di Langhe-Roero-Monferrato nella lista del patrimonio Unesco. L’evento sarà celebrato con festeggiamenti e convegni per rimarcare l’ecellenza del paesaggio e la laboriosità dei suoi abitanti piemontesi. Ma proprio in questa «terra bassa» (come scriveva Beppe Fenoglio per rappresentare la fatica e la laboriosità della sua gente con la schiena chinata) per la prima volta ha messo radici una brutta storia che sembrava avere origini lontane: il caporalato. Sfruttamento e lavoro nero, per tre euro l’ora, di immigrati dell’Est adibiti alla raccolta della frutta o alla vendemmia. Parole che risuonano tra i filari del Barolo o del Moscato d’Asti come bestemmie perché si diceva: «Qui da noi mai e poi mai». E invece…
E invece l’ultimo episodio conferma come il caporalato esista anche nella terra subalpina dalle nobili tradizioni. Accade che un giornalista onesto nel suo mestiere, cioè quello di denunciare il dramma dei migranti della vendemmia attraverso un reportage scaturito da un’inchiesta avviata dalla Guardia di Finanza, sia oggetto di minacce nell’Astigiano: «Tu finché c’è la vendemmia a Canelli non devi più venire» gli intimano tre misteriosi individui che lo aspettano sotto casa e poi gli danneggiano anche l’auto. Immediata la reazione e la solidarietà dell’Ordine dei Giornalisti e dell’Associazione Stampa Subalpina. Ma è la riprova che il fenomeno esiste e – anche se circoscritto – getta un cono d’ombra su un’agricoltura sana e lontana da questi episodi. Lo avevano già stigmatizzato le organizzazioni agricole piemontesi prendendo le distanze dagli allarmi e dalle denunce arrivati dalle Langhe, invitando i proprio associati a denunciare qualsiasi tentativo di intromissione o sottomissione.
Sarebbe ingeneroso affermare che il caporalato sta diventando la «cifra» di questo lembo di terra dai vini nobilissimi. Ma un’agricoltura per bene non può tollerare infiltrazioni di questo tipo. Purtroppo il fenomeno non è più soltanto connaturato con il Sud, ma si è spalmato ovunque. Il ministro delle Politiche Agricole, Martina, e quello della Giustizia, Orlando, hanno proposto la confisca dei beni per coloro che si avvalgono del caporalato. Qualche dato per comprendere il fenomeno: i lavoratori dipendenti in agricoltura sono 1,3 milioni (un quarto stranieri). Secondo un’indagine circa 400 mila sarebbero preda ogni giorno del caporalato, producendo un’evasione fiscale di 9 miliardi di euro e 600 milioni di contributi non pagati.
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