“E’ una zattera che galleggia nel mare della risaia, poco distante dal Po”.Così, nella scheda del sito del Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino il suo presidente Bruno Ferrarotti e Franco Crosio, anche lui storico di queste terre, hanno paragonato la superstite foresta planiziale, unico esempio del genere in Piemonte e nella Pianura Padana. Tra Ottocento e Novecento, quando si affermarono i movimenti solidaristici socialisti, il bosco millenario era considerato un impaccio che penalizzava terra da lavorare e cibo da produrre. Di conseguenza, nel 1868 un fazzoletto di querce e pioppi di 14 ettari fu eliminato e sostituito con la coltivazione del riso. Nella lunga storia del “Bosco delle Sorti della Partecipanza”, incominciata nel 1202, era accaduto una altra volta sola non per la risaia bensì per il frumento e per la vigna: nel 1593, quando 157 ettari furono ceduti a quello che adesso si chiama agroalimentare.
Il ritorno di tutta la superstite zattera nel mare della risaia ad essere un polmone “mangia anidride carbonica” accanto alla centrale elettronucleare di Trino addormentata, è annotato in questo modo da Bruno Ferrarotti: “Le nostre competenze forestali, formatesi in oltre 800 anni, sono state messe al servizio del Comune e delle sue alberate”. Questa funzione sussidiaria moderna riguarda la qualità della vita nei centri urbani, il paesaggio nei concentrici “da rammendare” come sostiene l’architetto Renzo Piano, le periferie non più anonime bensì “da umanizzare” con “iniezioni di natura”. Non solo. Il caso del “Bosco della Partecipanza” di Trino, istituito in Parco con leggi regionali del 19 agosto 1991 n.38 e 7 agosto 2006 n. 29, accentua il dibattito su un nuovo equilibrio fra campagna e città. Inoltre, rispettando la necessità di gestione autonoma dei residui medioevali, rinvigorisce o ricrea l’ esistenza di luoghi mitici (nel caso del Bosco anticamente dedicato ad Apollo) al servizio delle comunità moderne.
Le carte e le analisi storiche rievocano un ruolo antico a sostegno delle comunità, anche rivestito dalle partecipante agrarie emiliane e venete, che nel Medioevo dovevano risolvere quotidianamente due problemi: quello dell’alimentazione e quello del riscaldarsi. Nel caso del “Bosco della Partecipanza” di Trino, che si estendeva fino a Costanzana e che comprendeva la Badia di Lucedio dove i Benedettini avrebbero per primi coltivato il riso, con regole precise i signori del Monferrato accordarono di abbattere periodicamente porzioni di foresta per ragioni di manifattura artigiana e di riscaldamento. Gli statuti integrarono i primi esempi di conduzione comunitaria di una proprietà indivisa della popolazione. E lo stesso accadde nelle partecipanze agrarie dove, con le assegnazioni, doveva essere risolto il problema del cibo tratto dalla coltivazione della terra.
Proprio il superstite Bosco di Trino e la sua conduzione da parte della popolazione proprietaria per antichi legati, riporta anche in primo piano il tema lancinante dell’equilibrio del suolo sempre più deturpato dalla cementificazione incessante e sottratto al suo uso agrario in Italia e in Europa nel XXI Secolo. Il ministero delle Politiche Agricole due anni fa in una inchiesta accurata avvertì: in mezzo secolo 5 milioni di ettari agricoli, e forestali come il “Bosco della Partecipanza”, sono stati sacrificati alla urbanizzazione smodata. E’ come se fosse stata divorata una superficie produttiva corrispondente a Lombardia, Liguria e Emilia. Recentemente in un’altra inchiesta, l’Ispra piemontese ha ammonito: se ne vanno 70 ettari di buona terra al giorno. E la Coldiretti ha calcolato: dalla urbanizzazione sono “violentati” 8 metri quadrati di terra al secondo. Con un grosso rischio per le sopravissute foreste di pianura e per agroalimentare.
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