Poco più di mezzo secolo fa, i filari di pioppo difendevano la risaia come frangivento e connotavano fortemente il paesaggio. Anche con decisioni della Regione Piemonte, il paesaggio è stato rivalutato in tutta la regione, con una differenza difficile da individuare negli altri siti della Pianura Padana: Vercellese e Novarese, circondato dalla chiostra delle Alpi occidentali su cui incombe il Monterosa; inoltre il Cuneese con i suoi vigneti, primi in Europa, con Monviso e le fonti del Po. Ma i pioppeti, basilari per l’industria della carta e dei mobili per cui è fondamentale il compensato, si sono progressivamente ridotti: da quasi 200.000 ettari a circa 115 mila ettari, l’un per cento a livello nazionale, con 2.500 alberi dai quali sono sottratti con il periodico l’abbattimento decennale 11.500 ettari, ossia circa 950 metri cubi annui.
Anche in risaia i pioppeti si sono progressivamente ridotti, ad eccezione di alcune aree della Lomellina e di altre zone della Lombardia. Forse la ragione va ricercata negli alberi che ostacolavano le manovre dei macchinari, oppure perché i pioppeti facevano troppa ombra, impedendo in normale svolgimento del ciclo del riso, non assicurando inoltre un rapido reddito. Ma, in parte, una recente relazione degli specialisti che operano a Casale Monferrato in una istituzione fondata nel 1937, pochi anni dopo l’Ente Nazionale Risi, anno 1933, sembrano di parere diverso. I pioppeti rendono più stabile il territorio, evitando i danni delle alluvioni e assorbono l’anidride carbonica responsabile dell’effetto serra. Appunto, per effetto del carbon sink (assorbimento del CO2) si insiste per far riconoscere le aree coltivate a pioppeto quali aree di interesse ecologico e, pertanto, soggette a pagamenti ecologici (greening) da parte della Comunità europea. In termini diversi, la pioppicoltura dovrebbe essere considerata dalle Regioni, in relazione ai piani di sviluppo rurale con bandi specifici.
Queste e le problematiche energetiche di grande attualità, il 24 e 25 ottobre sono state analizzate a Casale Monferrato in un convegno curato dal Centro di Ricerca per le Foreste e il Legno, promosso e curato assieme al Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e per l’analisi dell’economia agraria), l’Associazione Pioppicoltori Italiani, e il Ministero delle Politiche Agrarie e Forestali. I relatori evidenziano che per il legname l’Italia dipende fortemente dall’estero per almeno 2/3 e che i nostri pioppeti e le nostre falegnamerie dispongono soltanto del 40% circa del fabbisogno. Anche le cassette in legno per frutta e orticoltura provengono dall’estero. I lavori a Casale Monferrato, ignorati come in genere accade per i temi che riguardano la connessione agricoltura-industria, sono stati preceduti da un accordo interregionale con capofila la Regione Piemonte, ricordato dai documenti del 28 gennaio 2014, ma soprattutto dall’intesa per lo sviluppo della filiera del pioppo. Due anni fa, il 29 gennaio, l’intesa in vigore è stata sottoscritta dalle regioni Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Piemonte nonché da Coldiretti, Cia, Confagricoltura, Assocarta, Associazione Pioppicoltori Italiani, Federlegno Arredo, Unità di ricerca per le produzioni legnose fuori foresta, cioè CRA-Plf. L’accordo fra agricoltura e industria è poco ricordato, specie in queste settimane in cui è ridiventato pressante l’assorbimento dell’anidride carbonica e i fatti alluvionali riguardanti i fiumi e i torrenti piemontesi. Le alluvioni, partendo dalle aree golenali dei fiumi senza pioppi, sono subito dilagate invadendo abitati e terreni colturali, lasciando così detriti che renderanno più complessi e costosi i lavori primaverili del 2017 . L’accordo interregionale aveva preannunciato gli eventi drammatici poi verificatesi, anche auspicando strategie comuni riguardanti l’attività di coltivazione all’interno di zone SIC (siti di importanza comunitaria) e ZPS (Zone di protezione speciale) e di altre aree protette. Uno studio di Assocarta evidenzia che cosa in Italia è accaduto: riduzione dell’arboricoltura da legno, e della pioppicoltura che dall’anno 2000 e seguenti è passata da 80.000 ettari a circa 38.000 ettari. Non solo. Il Piemonte e la Lombardia si sono mantenuti intorno ai 15.000 ettari di coltivazione mentre le altre regioni (eccettuati parzialmente Veneto, Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana) hanno ridotto drasticamente i pioppeti. In queste stesse regioni si registrano i maggiori eventi di frane del territorio e fatti alluvionali. Più incoraggianti sono invece le cifre che riguardano le esportazioni: oltre 13 milioni di euro circa con la produzione attuale e meno le importazioni calate di circa il 10%, ossia intorno ai 5 milioni di euro, anche provenienti dalla Finlandia e dall’Est Europa. Infine gli addetti, non calcolando l’agricoltura: intorno ai 380.000 con un calo del 3% circa rispetto al passato. Ritornando comunque all’ambiente di risaia, sempre assillata dal presunto eccessivo uso di fitofarmaci, questa la valutazione degli esperti di pioppicoltura: la realizzazione di impianti di pioppo permette di usare una quantità di fitofarmaci da 2 a 15 volte inferiore rispetto alle colture agrarie. Quindi, qualche albero produttivo in più, meno fitofarmaci e ritorno pieno al paesaggio, importante per il Piemonte e la Lombardia.
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