di Gianfranco Quaglia
La guerra delle denominazioni di riso scoppia nella scatola, anzi nel piatto. Si riverbera su Expo, dove nutrire il pianeta è sì energia per la vita, ma con alcuni distinguo e non poche sottolineature. E’ di qualche settimana fa la presa di posizione dell’Ente Nazionale Risi che ha invitato il ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, a intervenire contro la «vergogna» del cartello esposto nel cluster del riso, quella scritta «Risotto Basmati italiano» che nulla ha da spartire con il Made in Italy ma crea confusione fra i consumator: appello accolto con rapidità, tanto che èstata apportata un modifica, trasformando la scritta in <Risotto Basmati>. Quasi in coincidenza con questa polemica, un’altra invettiva arriva da Carlin Petrini, mister Slow Food, che lancia i suoi strali contro quella che definisce una «patacca», ossia la possibilità di vendere nella stessa confezione riso Carnaroli con altre varietà similari, tipo Karnak, Carnise, Poseidone. E anche contro la nuova legge sul riso, in discussione al Parlamento, che andrebbe a creare ulteriore offesa al principio di origine del prodotto, perché consentirebbe di omologare sotto un unico nome i risi tipo Carnaroli, distinguendo dagli altri similari soltanto quello «classico». A prescindere dalle buone o ingiustificate ragioni, il dibattito pervade Expo, cuore dell’esaltazione del cibo e dell’agricoltura sostenibile. Dove il Piemonte ha vissuto una settimana a lui dedicata. Già, proprio il Piemonte, che produce più della metà del riso italiano. Su questo punto, a margine delle giornate di manifestazione, Giorgio Ferrero, assessore all’agricoltura della Regione, interviene sulla risicoltura italiana con un concetto già espresso, ma che vuole ribadire: «La battaglia per la difesa del Made in Italy è sacrosanta, ma noi dovremo arrivare prima o poi a proporre un marchio Dop per tutto il riso italiano, che superi i campanilismi e le contrapposizioni. Bene il mantenimento delle varietà, ma non è sufficiente a promuovere il settore se la battaglia è di retroguardia, ancorata a schemi superati. Qui non si tratta di favorire una varietà o l’altra, ma di imporre all’attenzione dei consumatori e soprattutto del mondo un prodotto che sia riconosciuto nel suo insieme e nella sua compattezza».
Come dire: pensate al Parmigiano, al Gorgonzola, alla Mozzarella. Ciascuno sotto una bandiera unica, vessillo che sventola con fatica sulla risaia.
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