di Enrico Villa
Un “filo rosso” collega tutti i fiumi del mondo: Po, Danubio, Volga, corsi d’acqua cinesi. Senza la loro acqua, che tuttavia scarseggia per circa due miliardi persone, non ci sarebbe agricoltura. Nè ci sarebbe vita e l’ambiente nel quale vivono 8/9 miliardi di uomini sarebbe più squilibrato di quanto purtroppo sia adesso. Il 23 marzo, “Giornata dell’acqua”, Papa Francesco ha alluso a un bene che è di tutti e che a tutti appartiene. Negare questo “principio di umanità” vorrebbe dire creare la base per conflitti bellici, come anche evidenzia la Fao senza esasperare il linguaggio. Le Nazioni Unite sono consapevoli di come, sul globo, potrebbe essere l’epilogo drammatico. E proprio quest’anno, avendo presenti i corsi d’acqua che si stanno rivalutando in ogni parte del mondo, l’Onu ha dichiarato il 2017 “l’anno del turismo sostenibile per viaggiatori responsabili” i quali nei fiumi cercano il ”genio dei luoghi”. Così in Italia nella grande area del Po che sfocia nell’Adriatico, nella zona del Brenta pregevole anche per l’architettura, nella valle della Senna, in Scozia, in Irlanda, nel delta spagnolo dell’Ebro, in Olanda, nella valle del Duro in Portogallo.
Ma Giancarlo Galletti, ministro dell’ambiente del governo di Paolo Gentiloni, il 23 marzo, in occasione della “Giornata mondiale dell’acqua”, è stato più concreto. E per il prossimo autunno ha proposto, con risposta affermativa di più di un centinaio di governi, a Roma un summit di tutti i Paesi del mondo che sul loro territorio governano fiumi dalla gestione complessa, dalla quale dipendono la storia nonché il destino dei popoli rivieraschi. Appunto, questi corsi d’acqua sono legati l’un all’altro da un “filo rosso” che sottolinea come i problemi di governo delle acque siano analoghi in ogni punto della Terra. E che dalla loro corretta soluzione dipenda la pace e la collaborazione fra le popolazioni che dell’acqua non possono assolutamente fare a meno. Infatti, la Fao ha recentemente pubblicato un commento sullo stato dell’acqua. Secondo i calcoli Fao, si stima che la Terra contenga 1.400 di chilometri cubi d’acqua , di cui soltanto il 2,5% di acqua dolce. Con questa stessa acqua e con il ciclo naturale che “prende e restituisce” incessantemente dobbiamo fare i conti, badando attentamente all’inquinamento crescente. Con una visione globale, la Fao fa anche notare: “l’acqua e la popolazione sono distribuite sulla Terra in maniera non uniforme, per cui la situazione è già critica in vari paesi e regioni”. Inoltre, “aree sempre più vaste al mondo sono afflitte da penuria endemica d’acqua dolce e la competizione fra i vari utenti va crescendo”. Riferendosi ad areali più ristretti, che potrebbero riguardare in primo luogo la grande valle del Po e la Pianura Padana, l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in relazione alle risorse idriche, osserva: “L’acqua costituisce una risorsa indispensabile per lo sviluppo ed è per questo che non può essere solo una risorsa da utilizzare, ma anche un patrimonio ereditato dal pianeta da tutelare”. E ancora: “Per tale motivo le politiche attivate mirano ad evitate, per quanto possibile, il suo deterioramento a lungo termine, sia per gli aspetti quantitativi, che per quelli qualitativi e per le disponibilità”.
Come si ricorderà, la rassegna mondiale “Expo 2015” favorì l’attenzione sulla equivalenza “acqua uguale agricoltura fiorente” e, di conseguenza, economia non gracile, in buona parte dipendendo da quest’ultima le buone produzioni agricole. Senza infrastrutture che hanno portato e garantito l’acqua (vedere i saggi di Sergio Baratti e Roberto Isola, Est Sesia dicembre/gennaio 2015/2016, n.118) negli ultimi cinque secoli la risicoltura nella Pianura Padana (oltre 235.000 ettari circa, la prima in Europa) non sarebbe diventata oggi quella che conosciamo. Già a metà del XIX secolo, evidenziarono il legame “acqua-riso” economisti come Stefano Jacini e Carlo Cattaneo, e più recentemente, idraulici come Sergio Baratti e Lorenzo Allavena. Richiamato in un suo esauriente “inserto” da parte di Sergio Baratti, il federalista e repubblicano Carlo Cattaneo (1801/1869) definì le opere che nei secoli adattarono il territorio al fabbisogno della risicoltura “un enorme deposito di fatiche”. E Roberto Isola nel saggio “La risicoltura della Pianra Padana Occidentale e le risorse idriche”, cioè il 95% della coltivazione del riso, in queste settimane ugualmente destinato alla sommersione, cadenza lo sviluppo della canalizzazione ottocentesca con la loro entrata in esercizio: Canale Cavour nel 1866, Canale Villoresi in Lombardia nel 1890, Canale Regina Elena nel 1954. E prima, o dopo, il Naviglio di Ivrea, il Canale Depretis, la Roggia Busca e Biraga, il Roggione di Sartirana, la Roggia Mora, i Navigli Langosco e Sforzesco, il Naviglio Grande, il Naviglio Pavese, il Naviglio di Bereguardo, il Naviglio Martesana. Grazie al reticolo di corsi d’acqua artificiali e di paesaggio modificato anche con lo spostamento dei confini delle “camere” di cultura – ricorda Robero Isola – “si rilevano consumi specifici medi dell’ordine di 2,5 litri al secondo per ettaro, mentre stime a livello comprensoriale indicano un consumo di circa 1 litro/secondo per ettaro. In gran parte tutto è garantito da un serbatoio naturale immenso rappresentato dal Lago Maggiore piemontese e lombardo che contiene 200 milioni di metri cubi, al servizio di 500 comuni in una superficie di 450 mila ettari.
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