Memoria & Futuro: “T’amo o pio bove” del Piemonte (storie di razza Piemontese)

Memoria & Futuro: “T’amo o pio bove” del Piemonte (storie di razza Piemontese)

piemontedi Salvatore Vullo

“T’amo,o pio bove, e mite un sentimento di vigore e di pace al cor mi infondi …”

Era il 1872 quando il grande Giosuè Carducci, immortalò con questi e altri splendidi versi della sua poesia “Il bove”; quel Bove che, recita un altro verso, ” al giogo inchinandoti contento, l’agil opra de l’uom grave secondi …”

 piemonteseQuel Bove (bue) che, specie nel Centro-nord Italia, dov’era più diffuso l’allevamento bovino, e fino all’avvento del trattore, era la forza motrice al servizio dell’uomo nel lavoro dei campi. Erano i bovini, cosiddetti a triplice attitudine: da latte, da carne e da lavoro. In Piemonte, a quell’epoca Carducciana, era la bovina di razza Piemontese quella più diffusa, utilizzata a triplice attitudine, ma già nota per la sua più marcata attitudine per la Carne. Infatti, già a quell’epoca era altresì nota la peculiarità (per alcuni l’anomalia) di questa razza: quella ipertrofia muscolare che conferiva forme pronunciate in corrispondenza della groppa e della coscia; tanto che venivano chiamati “bovini della doppia groppa”, ed anche “bovini della coscia”. E pertanto veniva avviata l’attività di studio e selezione genetica che ha sempre più perfezionato quella ipertrofia muscolare. Da quell’epoca carducciana, la Bovina Piemontese continua ad essere protagonista del Piemonte agricolo e agroalimentare. E non potrebbe essere altrimenti per una razza che già nel nome rappresenta emblematicamente questa regione, in cui è concentrata la quasi totalità della sua consistenza nazionale. Il Piemonte, benchè non sembri, rappresenta una delle regioni “più zootecniche d’Italia”. Attualmente sono circa 900.000 i capi bovini allevati in Piemonte (circa il 12% della consistenza nazionale), dei quali quasi 350.000 sono i capi di razza Piemontese. Una consistenza, questa, che assegna alla Piemontese il primo posto tra tutte le razze bovine allevate in Piemonte, e il terzo posto in Italia, dopo la Frisona Italiana e la Bruno Alpina (entrambe da latte). E ovviamente la Piemontese è anche al primo posto, in assoluto, come consistenza e importanza, tra le razze italiane da carne (vedi Chianina, Marchigiana, Romagnola, ecc.). Un primato questo derivante dalle caratteristiche anatomiche e fisiologiche intrinseche e originarie di questa razza, alle quali si è aggiunta, come ricordato, una lunga e accurata selezione genetica, che ha sempre più perfezionato le caratteristiche peculiari della razza; quella ipertrofia muscolare che le nuove tecniche della genetica molecolare, negli ultimi anni, hanno permesso di individuare nell’azione del gene della Miostatina (M.B. Muscular Hipertrophy).

Altra peculiarità della Piemontese è la resa in carne nella macellazione, rispetto al peso vivo: molto più alta di altre razze da carne. Gli studi e la ricerca scientifica hanno permesso di scoprire anche quelle che erano le qualità già note di questa razza bovina, la cui carne era stata classificata tra le migliori al mondo per caratteristiche dietetiche, nutrizionali: povera di grassi saturi (quelli che fanno male), ricca di grassi insaturi (quelli che fanno bene e contengono l’Omega 3), per la sua scarsa percentuale di fibre nella carne, che la rendono tra le più tenere in assoluto; elementi questi che contribuiscono ad esaltarne gusti e sapori, come dimostrano ancor più le carni mangiate crude nei celebri piatti della cucina piemontese: la Battuta al coltello e la Carne all’Albese, che raggiungono livelli di bontà e qualità inarrivabili con carni di altre razze. Una carne al top del gusto, come dimostrano anche gli altri grandi piatti della cucina piemontese, come il Brasato, il Bollito, l’Arrosto, la Salsiccia di Bra. Quella della Piemontese è una grande realtà economica, produttiva, territoriale, sociale, che fa parte della storia e della identità del Piemonte. Un sistema che esprime 3.500 aziende agricole che allevano quei quasi 350.000 capi, così distribuiti: 62% Provincia di Cuneo, 24% Torino, 9% Asti, 3% Alessandria, 2% altre province. Si tratta di piccoli e medi allevamenti, siti in territori ideali per condizioni ambientali, pedoclimatiche e per il benessere degli animali, tra i quali quelle di collina, quelli prealpini e, ancor più, quelle alpine, nei tanti alpeggi dove ogni anno nella stagione estiva (da San Giovanni a San Michele) centinaia di Margari portano in transumanza circa 30.000 capi. Allevamenti dove è preponderante il lavoro diretto e manuale dell’uomo; dove, in buona parte, si pratica il ciclo completo: dalla riproduzione all’ingrasso; e tutto il bestiame è nutrito in prevalenza da foraggi, fieno, cereali prodotti in azienda.

Un sistema che esprime tante realtà correlate come la rete delle “Città della Piemontese”; quelle città dove la Piemontese ha lasciato il segno ed è forte realtà per storia, tradizioni, consistenza degli allevamenti, manifestazioni correlate zootecniche e gastronomiche, tra le quali citiamo le mitiche e storiche “Fiere del Bue Grasso”, che si svolgono a Carrù, a Moncalvo, a Nizza Monferrato. Tali città sono: Torino, Cuneo, Carrù, Carmagnola, Cavour, Moncalvo, Nizza Monferrato, Castelmagno, Bra, Fossano, Savigliano.

Ma è Carrù la città che, idealmente, potremmo definire la “Capitale della Piemontese”, anche perché ha sede l’A.NA.BO.RA.PI, acronimo di “Associazione Nazionale Bovini Razza piemontese”, costituita nel 1960, organismo deputato alla tutela della razza bovina Piemontese, che ne gestisce l’Albo genealogico, che opera con il “Centro Genetico e delle prove di performance”, con il “Centro Tori” che seleziona i tori abilitati alla produzione del seme per la fecondazione artificiale; l’associazione, infatti, gestisce una vera e propria “Banca del seme”: circa 500.000 dosi all’anno di seme che viene anche esportato in tutto il mondo; seme che viene impiegato in purezza o per l’incrocio con altre razze bovine per migliorarne gli standard qualitativi. E qui, con una battuta, potremmo dire: “La Piemontese insemina il mondo”. Fra le tante altre attività di tutela e valorizzazione svolte dall’Anaborapi (e qui colgo l’occasione per citare il buon lavoro di tanti anni del suo direttore Andrea Quaglino e del suo presidente Albino Pistone), segnaliamo la recente realizzazione, sostenuta dalla Regione Piemonte, della “Casa della Piemontese”: un interessante e originale museo multimediale dedicato alla Piemontese, entrato in funzione nel 2014, che ha sede nel complesso logistico e di strutture dell’Anaborapi di Carrù. Con l’aggiunta del museo, il complesso dell’Anaborapi, si propone come una delle strutture più interessanti da visitare (non solo per addetti ai lavori); una struttura nuova, originale per l’insieme degli elementi che rappresenta: agricoli, zootecnici, tecnici, scientifici, storici, culturali, gastronomici; struttura che potrebbe essere meta di visite guidate e organizzate per operatori, comunità tecniche e scientifiche, studenti, scuole, turisti e appassionati del mondo agricolo e rurale.

Altra importante struttura, che ha sede nel suddetto complesso logistico di Carrù, è il COALVI (Consorzio Allevatori Vitelli di Razza Piemontese), costituito nel 1984, che da tanti anni ha adottato, tra i primi in Italia, un sistema di etichettatura volontaria e di completa tracciabilità, con un certificato anagrafico per ogni singolo vitello, le cui carni sono commercializzate in una rete di macellerie e punti vendita esclusive. Il marchio COALVI nel 1988 ha ricevuto, con decreto del Ministero dell’Agricoltura, il “Marchio di Qualità”. Complementariamente a ciò, in collaborazione con la Regione Piemonte, Il Coalvi ha svolto una notevole e interessante attività di assistenza tecnica, valorizzazione e promozione, sia a livello di marchio COALVI, sia come promozione generale sulla carne bovina e sulla Piemontese in particolare, nonché su temi vari di informazione al consumatore e di educazione alimentare. Negli ultimi anni, di grande rilievo è stata la promozione commerciale, con l’offerta di nuovi prodotti a marchio Coalvi, comprese le porzioni di carni confezionate, in atmosfera controllata, estesi anche a tanti punti della Distribuzione Organizzata. Un insieme di cose che, specie dopo il brutto periodo dello scandalo Mucca Pazza, è servito a dare fiducia, a rivitalizzare un comparto in forte crisi, e ancora oggi alle prese con problemi strutturali, burocrazie, ostracismi e nuove tendenze alimentari. Peraltro, il Coalvi negli ultimi 15 anni è stato il soggetto, individuato dalle associazioni allevatori e organizzazioni professionali, proponente la richiesta di riconoscimento della IGP per la Piemontese; un processo lungo e faticoso che si è incagliato prima sulla denominazione Fassone del Piemonte, bocciata dalla UE, ripresa poi con la denominazione “Vitellone Piemontese della Coscia”, che proprio nei mesi scorso ha ottenuto il riconoscimento dell’Unione Europea come IGP (Indicazione Geografica Protetta). E questo sarà un grande strumento aggiuntivo di valorizzazione della Piemontese e del suo contesto economico e sociale.

E a tal proposito, nel ricordare il buon lavoro e i meriti di tanti altri uomini e strutture, va segnalato, in questa lunga e intensa attività del Coalvi, il prezioso lavoro del suo storico direttore Giorgio Marega, svolto con intelligenza, caparbietà, positività, lontano dai riflettori, e al quale tanto devono i buoni risultati del Coalvi e della Piemontese, e che si deve anche al buon operare e al positivo contesto creato dai due bravi presidenti che si sono avvicendati al Coalvi: Luigi Rabino e Carlo Gabetti. E lo dico con cognizione di causa, poiché ho conosciuto Marega nel 1984 al Bibe Interfood di Genova (all’epoca la più importante fiera agroalimentare in Italia), dove presidiava lo spazio Coalvi nell’area espositiva del Piemonte, organizzata dall’ Ente di Sviluppo Agricolo del Piemonte dove io lavoravo e iniziavo la mia attività nel settore della Promozione, poi proseguita all’Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, e dove è continuato il rapporto con Marega e il Coalvi.

 

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