di Gianfranco Quaglia
La mannaia cala rapida, un colpo secco, ben assestato, che produce un rumore quasi simile a una frustata. L’immagine è suggestiva e al tempo stesso inquietante. Ma niente paura: siamo in un negozio di macelleria, l’operatore ha tranciato un pezzo di carne, poi lo disosserà per renderlo pronto alla vendita.
Una tecnica da taglio imparata attraverso l’esperienza sul campo, ma anche con una buona preparazione didattica che ha impartito conoscenze di anatomia degli animali.
Si fa presto a dire macellaio. In realtà dietro l’angolo c’è il rischio, neppure troppo lontano, di svegliarsi un mattino e scoprire che il macellaio c’era una volta. Nei giorni scorsi a Torino si è celebrata, su iniziativa di Coldiretti, la giornata nazionale della carne, per richiamare l’attenzione sulla grave situazione attraversata dal comparto: nel 2015 gli acquisti delle famiglie in Italia sono crollati del 9% per la carne fresca, del 6 per quella bovina, dell’1 per quella di pollo. Colpa della crisi e degli allarmi infondati, che hanno messo sotto accusa un alimento determinante per la salute. Sempre l’anno scorso la carne ha perso il primato diventando la seconda voce del budget alimentare dopo l’ortofrutta.
Accanto a questa tendenza non va trascurata la difficoltà di trovare nuovi macellai, del ricambio generazionale. Enrico Giovanni Gavazza, ad della Gavazza Fratelli, uno dei più grandi centri di trattamento carni del Piemonte (gestisce 50 punti vendita) ha lanciato un appello a Torino, durante un convegno organizzato da Intesa San Paolo per presentare l’accordo con il Ministero delle Politiche Agricole per il finanziamento alle aziende agricole. Nelle macellerie – dice Gavazza – non esiste un ricambio generazionale, tanto che gli operatori sono quasi tutti sopra i cinquant’anni. A Moretta, nel Cuneese, c’è una scuola che prepara i ragazzi, ma ha bisogno di essere sostenuta. <Per fare un macellaio -aggiunge Gavazza -occorrono almeno due-tre anni, che però devono essere sostenuti sotto il profilo creditizio>.
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