di Gianfranco Quaglia
Il telefono squillava poco dopo le sette, quando i giornalisti che hanno fatto tardi la notte sono ancora al primo sonno. «Ha tempo per un caffè?». Dall’altra parte era lui, Siro Lombardini, che aveva già in testa qualcosa: il caffè offerto dal professore, presidente della Banca Popolare di Novara, ex ministro delle Partecipazioni Statali, docente, economista di fama internazionale, era sempre una «news», una notizia che avrebbe creato il titolo. Un quarto d’ora dopo ero a Palazzo Bellini, sede storica della Bpn, io stralunato, lui sveglio più che mai, davanti a due tazzine. «Ho pensato…». Partiva da lontano Siro Lombardini, che aveva una visione a tutto campo, anzi a tutto globo, e allungava lo sguardo sulle vicende politico-economiche del mondo e soprattutto sul futuro. In una di queste mattine disse: «Vede, l’economia e la ripresa non si costruiscono con il presente, ma sulle aspettative». E per meglio farsi capire aggiungeva: «Lei ha un lavoro a tempo indeterminato, ma se la sua azienda va in affanno, è in rosso e si prospetta la riduzione d’orario, anche i suoi progetti si arresteranno. Se sta per accendere un mutuo per la casa, questa operazione non la farà più perché non ha la certezza di un domani sicuro. Ecco, l’economia è questa».
Era pragmatico Siro Lombardini, nato a Milano, vissuto a Chieri sulla collina torinese, catapultato fra le risaie per guidare la banca popolare più importante d’Europa. Sapeva far lezione in questo modo, senza salire in cattedra, con il carisma del docente che aveva affascinato anche Romano Prodi, suo allievo. E dopo il preambolo si calava nella realtà per dare la notizia: era sempre una iniziativa a favore del territorio, che gli era entrato nel sangue e amava come fosse la sua prima patria. Lombardini aveva sposato la novaresità sino in fondo, in modo viscerale, trasferendo esperienza e erigendosi a paladino della tradizione. Anche nella fase più difficile della «Novara», quando dovette traghettare la banca verso l’aggregazione con la Verona, operazione delicatissima nella quale il professore cercò di preservare l’identità e l’autonomia. Inventò la Fondazione Banca Popolare di Novara per il territorio, strumento e braccio armato del nuovo gruppo bancario affinché continuasse quel contatto diretto con la gente del posto, artigiani, commercianti, industriali, il mondo rurale. Non era uomo di mezze misure e abiti rattoppati e nel 2007, quando captò che la stagione stava cambiando, preferì dismettere il vestito di presidente della Fondazione. Se ne andò «con dolore», come scrisse nella lettera di commiato, e un «arrivederci nella mia veste di amico di Novara».
Lunedì 13 ottobre, un anno dopo la sua scomparsa, anche l’allievo Romano Prodi sarà a Novara per tributare l’omaggio celebrativo al suo maestro.
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