L’estate dà i numeri. Soprattutto in agricoltura. Cifre che arrivano dall’Istat, relative all’occupazione e alla produzione e che dimostrano come il settore dell’agroalimentare sia fra i pochi, forse l’unico, a reggere a una lunga crisi economica. Cominciamo dai posti di lavoro: le statistiche registrano un +2,2 per cento. Entrando nel dettaglio: nel 2015, grazie anche agli incentivi e alle iniziative messe in atto da Campolibero, il progetto attuato dal Ministero Politiche Agricole, 20 mila ragazzi (pari a un +16 %) hanno avviato progetti nel settore agroalimentare, in altre parole hanno scelto di dedicarsi alla terra. Altri numeri: il meccanismo ha generato un circolo virtuoso con un +3,8 per cento di valore aggiunto e un +2 per cento di produzione. L’assalto al mondo agricolo avviene ormai da qualche anno anche attraverso le iscrizioni agli istituti agrari e alle facoltà di agraria: un vero boom, in tutte le regioni d’Italia. Insomma, un quadro positivo che non lascia dubbi sulle scelte dei giovani.
Tuttavia un dato negativo non può essere celato. Ed è sintomatico, in controtendenza rispetto alle speranze e alle aspirazioni. Ci arriva dalla provincia di Rovigo, è emblematico di una situazione che sta penalizzando le 300 mila aziende coltivatrici di gano in Italia e vale la pena di stigmatizzarlo. Per settimane molte città italiane sono state percorse dalle proteste di agricoltori che hanno voluto richiamare l’attenzione sul baratro esistente fra i costi produzione e l’effettivo prezzo stabilito nel nostro Paese per il grano duro: attorno ai 15 euro al quintale, 15 euro al chilo. Un crollo del 50%, causato dalle massicce importazioni da parte delle industrie di trasformazione di prodotto proveniente da Ucraina, Canada, e altri Paesi. Il grido d’allarme lanciato da tutto il mondo agricolo italiano non può essere ascritto alla consolidata, reiterata abitudine di una proverbiale lamentazione. Ma se non si portano le prove forse l’opinione pubblica non riesce a comprendere la portata del fenomeno. E così un agricoltore di Ceneselli (Rovigo) ha rispolverato l’antico pagamento del baratto. E’ andato dal barbiere del paese, ha chiesto un taglio di capelli, poi è tornato portandogli due sacchi del suo grano appena raccolto: complessivamente 73 chili, corrispondenti esattamente a 1.095 centesimi. E così si è avvicinato alla tariffa stabilita dal parrucchiere, 11 euro. Un taglio che rimarrà <scolpito> nella storia di questa estate 2016.
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