Se Josephine Baker, la Venere Nera per antonomasia, fosse ancora viva, c’è da esserne certi che Dario Scotti, il “Dottor Scotti” di Pavia, l’avrebbe arruolata in prima fila come testimonial d’eccezione. Così come anni fa fece con un suo omonimo, Gerry Scotti. Questa volta la storia è un’altra, il cereale da promuovere è sempre il riso. Ma il colore è un po’ diverso, decisamente nero. Perché così è il Venere, coltivato nella pianura vercellese, novarese e nella Valle del Tirso in Sardegna. Il Venere made in Italy, riedizione dell’antico riso dell’Imperatore coltivato in Cina, si accasa appunto da Riso Scotti. Nato 24 anni fa da un incrocio tra un riso asiatico e una varietà coltivata in casa Sa.Pi.Se. (Sardo Piemontese Sementi) di Vercelli, i soci hanno deciso di cambiare industria di trasformazione e commercializzazione. Sino a ieri in capo a Riso Gallo, oggi un nuovo matrimonio. “Non un divorzio, ma una separazione consensuale – dice il direttore della cooperativa, Carlo Minoia – con l’intenzione di valorizzare la filiera certificata dei produttori non solo in Italia, ma anche all’estero”.
Prima azienda mondiale sostenibile nel campo sementiero, Sapise intende rafforzare la posizione e diventare leader internazionale con questo prodotto che molti hanno cercato di imitare senza peraltro riuscirvi. “Vogliamo esportare l’italianità con un gruppo importante come Scotti, garantendo tuttavia le prerogative del territorio e dell’unicità. Sarà una commercializzazione in esclusiva su larga scala, nella grande distribuzione. Ma resta la possibilità ai produttori e agli spacci aziendali di vendere direttamente il Venere”.
Intoccabile rimane anche la filiera, formata di agricoltori di Vercelli, Novara e Oristano (la presidente è Elisabetta Falchi, imprenditrice sarda). Un’operazione glocal, che rispetterà anche il disciplinare: fuori da quelle aree il Venere infatti non potrà essere coltivato.
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