Era nell’aria e tutti speravano che rimanesse. Invece il paventato taglio ai sussidi degli agricoltori è già una proposta quantificata dalla Commissione Europea: oltre il 5 per cento per sette anni. Significa che la cosiddetta Pac (Politica agricola comune) sarà decurtata di circa 20 miliardi (secondo alcuni di 40) con una riduzione che potrebbe riguardare in particolare le imprese di maggiore dimensione con un occhio di riguardo – forse – per le piccole. Una scelta che – secondo Massimiliano Giansanti, presidente Confagricoltura – porterebbe a una contrazione del reddito, ma anche a uno sfoltimento dell’occupazione, perché sono le aziende grandi quelle che assicurano più posti di lavoro, producono anche per l’esportazione e sono aperte all’innovazione.
Ma il coro di no alla prospettiva della falce sui fondi è unanime. “Indebolire l’agricoltura – dice Roberto Moncalvo presidente Coldiretti – significa minare le fondamenta della stessa Ue in un momento particolarmente critico per il suo futuro. Il taglio dei fondi è insostenibile per le imprese e gli stessi cittadini europei”.
E da Strasburgo arriva il no secco anche da Paolo De Castro, vicepresidente Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, che definisce la proposta di Juncker “un intervento a gamba tesa sulla gestione della Pac in quanto la competenza è in capo alla Commissione Agricoltura del Parlamento europeo e del Consiglio dei ministri agricoli dell’Ue”.
Non si sa come andrà a finire e se si riuscirà a contenere il taglio previsto per i sette anni tra il 20120 e il 2027. Ma una cosa è certa: se saranno sette anni di magra gli agricoltori lo devono all’effetto Brexit. L’uscita del Regno Unito ha prodotto un minor gettito nelle casse Ue e di conseguenza una minore disponibilità finanziaria e capacità distributiva. Ma perché a pagare devono essere gli agricoltori?
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