Abbiamo una cassaforte sotto i piedi e le case, un forziere che contiene un tesoro inestimabile: l’oro blu. Traduzione: l’acqua, il bene più prezioso del petrolio, perché è direttamente connesso con la produzione di cibo. L’85% delle coltivazioni agricole (non solo dove nasce e cresce il riso) in Italia dipende dall’acqua.
Si calcola che nel 2021 siano caduti in Italia oltre 300 miliardi di metri cubi d’acqua piovana. Il fatto è che questa risorsa, imprigionata e raccolta, potrebbe contribuire ai risparmi idrici e risolvere i problemi della siccità. Al contrario soltanto 11 miliardi di metri cubi sono stati salvati, incanalati in bacini artificiali che rappresentano una riserva cui attingere nei momenti di bisogno.
Da decenni le organizzazioni agricole e in primo piano l’Anbi (Associazione nazionale consorzi di bonifica e irrigazione) invocano la costruzione di invasi, dighe capaci di trattenere l’oro blu. Inutilmente. Se ne è parlato nel recente convegno “I consorzi irrigui e il futuro dell’acqua in Piemonte: quale strategia di fronte ai cambiamenti climatici?” organizzato da Anbi Piemonte in collaborazione con il settore agricoltura della Regione. Al confronto hanno partecipato Vittorio Viora presidente di Anbi Piemonte, Mario Fossati, direttore di Est Sesia Novara; l’assessore Marco Protopapa, il presidente di Anbi nazionale Francesco Vincenzi, Paolo Carrà presidente di Ente Risi.
Proprio il Piemonte, per le sue specifiche coltivazioni (la superficie risicola è più del 50 per cento di tutta quella italiana) ha bisogno di acqua, a prescindere dalle semine per sommersione o in asciutta (quest’ultima necessita comunque di essere irrigata in un secondo tempo). Canale Cavour, Lago Maggiore, di fronte ai lunghi periodi siccitosi, si rivelano insufficienti. I progetti, soprattutto per il Biellese, esistono da tempo. Ma i ministeri competenti sin qui non hanno dato il via libera, anche frenati dall’intransigenza di una linea ambientalista e dagli abitanti dei luoghi interessati, che temono il riaffacciarsi di tragedie lontane nel tempo come quella del Vajont.
L’unica, vera grande cassaforte, esiste e non si vede: è la risaia. Mario Fossati, alla guida di Est Sesia, il consorzio più grande d’Italia: “Nelle zone del Cuneese le falde freatiche sono determinate dalle piogge e dallo scioglimento delle nevi, quindi non sono molto influenzate dalla pratica irrigua. Invece nei comprensori risicoli del Vercellese, Biellese, Novarese e Lomellina, il livello della falda è legato a filo doppio con le operazioni di irrigazione e a scorrimento, ma soprattutto a quelle della sommersione. In queste zone la falda è un sistema globale con la grandissima capacità di circa 500 mila ettari, quindi enorme, che riesce a invasare qualcosa stimato tra 750 milioni e un miliardo di metri cubi d’acqua. Un serbatoio immenso, ma che per la sua natura di materasso filtrante ha dei tempi di ricarica e di rilascio molto lenti: 30-40 giorni”.
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