di Gianfranco Quaglia
La prospettiva è sconfortante: diminuzione di personale occupato nelle industrie risiere con licenziamenti e crisi dell’indotto, rischio di chiusura impianti e fallimenti delle aziende, riduzione delle quote di mercato nella grande distribuzione. Contrazione di circa il 20 per cento della superficie risicola italiana con progressivo abbandono della coltivazione. In altre parole: il default del settore. Tempistica: a partire da ottobre 2014.
Uno scenario che in questi giorni è oggetto di approfondimento al Ministero dello sviluppo economico, nel tentativo di arginare uno tsunami arrivato dal Sudest asiatico e che ha già invaso l’Europa: il riso cambogiano. I produttori e le industrie risiere di tutta Europa stanno subendo gli effetti della valanga di cereale che il Governo di Phnom Penh sta esportando nell’area Ue, favorito dagli accordi che prevedono l’export di prodotto a dazio zero per tutti i cosiddetti Pma (i Paesi meno avanzati), quindi meritevoli di essere favoriti.
L’importazione di riso tipo Indica dalla Cambogia, uno dei maggiori produttori mondiali, in tutti i Paesi Paesi europei ha avuto un’impennata negli ultimi anni, con volumi esponenziali e impressionanti: è passata dalle 5,5 mila tonnellate del 2099 alle 230 mila tonnellate della campagna 2013-2014. E la tendenza è quella di un ulteriore incremento. Alla quinta World rice conference svoltasi a Hong Kong nel novembre 2013 il rappresentante degli esportatori cambogiani ha dichiarato che è intenzione del suo governo continuare la rapida espansione dell’export anche nei prossimi anni. L’attuale produzione è di 9,3 milioni di tonnellate con una eccedensa esportabile di 3,35 milioni, corrispondenti a 2,08 milioni di tonnellate di prodotto lavorato. Considerando che in Europa il consumo di riso lungo B (quello coltivato anche in Cambogia) è pari a 1,6 milioni di tonnellate, il rischio di un annullamento della risicoltura europea è evidente, tanto più che i costi di produzione in Italia e negli altri Paesi partner sono molto più alti e di conseguenza il prezzo non competitivo.
Ecco perché al Ministero dello sviluppo economico, che ha diretta competenza per agire in materia, si sta approfondendo la situazione con una richiesta precisa: l’adozione di misure di salvaguardia ai sensi dell’art. 22 regolamento Ue n. 978/2012, relativo all’applicazione di un sistema di preferenze tariffarie generalizzate. Se adottata, la clausola di salvaguardia bloccherebbe di fatto le importazioni. «Ma non sarà così semplice – osserva Paolo Carrà, presidente Ente Nazionale Risi – la Commissione europea adotta le misure dopo aver esaminato attentamente tutti i parametri. Il documento deve rispondere a molti quesiti posti all’interno del regolamento comunitario. Non solo: la Commissione dovrà venire in Italia per una verifica».
Giuseppe Ferraris, responsabile nazionale del settore riso di Confagricoltura: «Avanti di questo passo non possiamo più andare. L’Italia è il Paese più penalizzato essendo il primo produttore, ma la denuncia è unanime e coinvolge anche le industrie risiere del Nord Europa. Non siamo più in grado di tenere il mercato, il nostro Indica non è più competitivo».
A sostegno della risicoltura italiana interviene anche il ministro delle Politiche Agricole, Martina, che durante il Consiglio dei ministri a Bruxelles ha evidenziato la grave situazione. I rappresentanti della Commissione hanno assicurato un intervento specifico attraverso un monitoraggio costante e contatti con la Cambogia. Era la stessa Commissione che sino a pochi mesi fa aveva definito “rumors” gli allarmi lanciati dai risicoltori, i quali denunciavano un’escalation delle violazioni dei diritti umani in Cambogia, il cui governo aveva operato concessioni fondiare per ragioni economiche, finalizzate a una maggiore produzione di riso destinato all’esportazione.
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