Dal 1° gennaio è entrato in vigore, anche se in via provvisoria, l’accordo commerciale tra europea e l’Ecuador. L’accordo prevede la possibilità di importare nell”Ue a dazio zero il riso da seme e un contingente annuo (per cinque anni) di 5.000 tonnellate con il codice NC 1006. Da rilevare che negli ultimi due anni secondo Eurostat, le importazioni comunitarie di riso dall’Ecuador, assoggettate a dazio zero, hanno riguardato mediamente 20 tonnellate di prodotto.
Un altro colpo basso, che si aggiunge alle tante altre concessioni accordate ai Paesi del Sudest asiatico e alle importazioni agevolate da Cambogia, Myanmar. L’anno non poteva incominciare peggio. Risponde Paolo Carrà, presidente Ente Nazionale Risi
“Dopo le nostre reiterate proteste e le pressioni su Bruxelles, il commissario all’agricoltura Phil Hogan ha riconosciuto e affermato che il riso è in prodotto sensibile. Lo aveva detto a suo tempo anche la commissaria Malstrom. Belle parole e rassicurazioni, ma poi nei fatti accade il contrario, in realtà il riso continua a essere considerato merce di scambio”.
Ma dove finirà il risone da seme che il Governo di Quito esporterà in Europa?
“Sinceramente non lo so, ma non è la destinazione che mi preoccupa. L’obiettivo è un altro: questi accordi servono per tastare il terreno, provare la forza di penetrazione. E al tempo stesso dimostrano, se ce ne fosse ancora bisogno, che noi non siamo in grado di avere una politica di salvaguardia”.
Il 2017 potrebbe finalmente essere l’anno di una reazione compatta della filiera risicola?
“Per febbraio abbiamo convocato e organizzato gli Stati Generali dei principali paesi produttori a Milano. Finora l’Italia si è battuta in prima linea contro gli accordi, ma con scarsi risultati, da sola non può andare lontano. Occorre imbastire un fronte comune per contrastare le decisioni prese a Bruxelles”.
Proposte specifiche?
“La soluzione deve arrivare dall’Unione Europea, senza ipocrisie e inutili proclami. Innanzitutto bisogna intenderci sul significato di prodotto sensibile. Se così è, non può essere soltanto una enunciazione. E soprattutto non si può pensar di stipulare accordi senza termini di scadenza. Occorre mettere dei paletti precisi, che prevedano una tempistica di verifiche. Soltanto così si potrà monitare l’andamento dell’import e vedere quali sono gli effetti”.
Le quotazioni sui mercati italiani in questo momento non sono gratificanti…
“Dopo i primi grandi acquisti, adesso siamo in una fase di stand by, come sempre accade in questo periodo. Il fatto è che non si può vivere in una costante condizione attendista, sperando che siano gli altri a migliorare la situazione. O la filiera, tutta quanta (agricoltori-industriali) si rende conto che deve passare al contrattacco oppure assisteremo a una progressiva regressione della risicoltura italiana”.
Quindi non basta vincere la battaglia a Bruxelles, servono anche misure interne e una presa di coscienza diversa?
“Certamente. La ricerca e la promozione sono chiavi di volta per impostare il futuro. <ma la spending review, per quanto riguarda l’Ente Risi, ci lega le mani lasciandoci pochi margini di manovra. E allora è assolutamente necessario arrivare a una presa disposizione comune, nella quale siano coinvolti produttori e industriali. Lavorare insieme, non solo in Unione Europea, ma anche sul mercato domestico, con azioni coordinate e uniche, un mercato che non ci veda l’uno e l’altro su fronti opposti, ma insieme”.
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