I risicoltori italiani (e tutti gli altri europei) da oltre un anno sono orfani dello scudo protettivo. Era la “clausola di salvaguardia” che li tutelava dalle importazioni massicce a dazio zero da Cambogia e Myanmar. Scaduto il termine, sono cadute anche le tariffe doganali imposte e così è ripreso l’import e ripristinato il regime generalizzato di preferenze tariffarie (SPG), un danno per la risicoltura europea che deve contrastare la concorrenza dal Sudest asiatico. Ora la filiera risicola chiede l’automatismo della clausola di salvaguardia, che scatti ogniqualvolta vengono superate determinate soglie percentuali di importazioni. Il Parlamento europeo è d’accordo, il Consiglio UE prevede l’introduzione della sorveglianza speciale per monitorare le importazioni. Il 31 gennaio si inizierà il “trilogo” (Parlamento, Consiglio, Commissione), auspice la presidenza di turno che sino a giugno compete alla Svezia. Giuseppe Ferraris, presidente del gruppo riso di Copa-Cogeca, il comitato che riunisce le organizzazioni professionali agricole d’Europa e la confederazione generale delle cooperative europee, è fiducioso. La rappresentanza svedese vuole chiudere entro i primi sei mesi di quest’anno. Le premesse sembrano favorevoli, ma bisogna fare presto perché negli ultimi mesi le importazioni sono riprese a ritmo serrato. Non solo: in seguito alla sentenza del Tribunale europeo che nel novembre scorso ha annullato il regolamento istitutivo delle misure di salvaguardia per un vizio procedurale, la Commissione europea ha deciso di aprire un’inchiesta per accertare eventuali anomalie. Se sanate, non saranno rimborsati i dazi versati dagli importatori di riso tipo Indica nei tre anni in cui ha agito la clausola di salvaguardia, contro il quale aveva presentato ricorso la Cambogia.
Insomma, la battaglia si gioca su due fronti: legale e politica. In mezzo i risicoltori europei, in particolare l’Italia leader, che chiedono di tutelare la produzione dalla concorrenza.
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