Una vacanza alle Maldive nel cuore dell’inverno, prima di iniziare la nuova stagione nei campi. Così ha fatto Fabrizio Rizzotti, risicoltore alla Fornace di Vespolate (No), l’azienda che produce Artiglio, l’unico Indica made in Italy, Carnarolli, Razza 77. Villaggio vacanze nell’arcipelago frequentato ogni anno da 90 mila italiani e, per questo, comfort e cibo in onore degli ospiti. Naturalmente spaghetti, pizza, riso. Tutto rigorosamente proveniente dall’Italia? No. Qui sta il punto. Fabrizio Rizzotti, che è anche presidente di Agrimercato-Campagna Amica di Coldiretti Novara Verbano Cusio Ossola, si è trasformato da turista in 007. Visto e gustato il riso in tavola, ha capito subito che quel cereale non era Made in Italy, benché spacciato come tale. E a quel punto è andato in cucina, ha parlato con gli chef e alla fine si è fatto confessare che il prodotto arrivava da un altro Paese. “Tutto regolare – dice ora Fabrizio – se quel riso fosse stato venduto e proposto con la sua denominazione d’origine. Invece…”.
Invece Fabrizio Rizzotti ha scoperto che il falso riso Made in Italy altro non era che un cereale coltivato in Indonesia, un classico esempio della contraffazione, di quell’Italian sounding che ha invaso tutto il mondo e fattura circa 60 miliardi di euro, praticamente quasi il doppio del nostro export agroalimentare e la metà dell’intero fatturato dell’industria alimentare italiana. Si stima che il danno causato dall’Italian Sounding ammonti a 54 miliardi, coinvolgendo in questa pratica prodotti Dop, Igp, nomi eccellenti come il Parmigiano che diventa Parmesan, Mozarella al posto di Mozzarella; poi Salsa Pomarola venduta in Argentina, la Zottarella prodotta in Germania e gli Spagheroni olandesi. Colpito anche il gorgonzola, che diventa Combozola o Oesterzola.
Ma alle Maldive, ha scoperto Rizzotti, non si è neppure scimmiottato il nome. Sulla confezione recuperata (come si vede nella foto) bastano tre vocaboli definiti per evocare l’italianità: saporito, riso, Arborio. Peccato che il contenuto arrivi, appunto, dall’Indonesia, non dalla pianura piemontese patria di quell’Arborio noto in tutto il mondo.
Ma la maggior parte dei turisti, male informata, crede di mangiare riso italiano. Su quelle confezioni non c’è alcuna etichetta che indichi l’origine. “Il fatto più grave – commenta sconsolato Rizzotti – è che le multinazionali indonesiane o di altri Paesi hanno fiutato il business, sono arrivate tutte prima di noi e a questo punto, anche volendo, sarebbe difficile recuperare con una promozione in grado di scardinare un sistema ormai collaudato”.
Un sistema entrato a far parte della ristorazione internazionale, raggiunge le mete turistiche più gettonate del mondo, persino il Sudest asiatico da dove – ironia beffarda – proviene la maggior parte del prodotto che invade l’Unione Europea e contro cui inutilmente si stanno battendo i nostri risicoltori. Fermi sulle loro posizioni, in trincea da decenni, in ritardo con il marketing e una promozione
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