Gli effetti del Covid19 sull’economia sono devastanti e analoghi alle conseguenze post-belliche. Tutti ne siamo consapevoli. In particolare gli agricoltori stanno sentendo sulla loro pelle le ferite dei rincari delle materie prime per produrre. Non è soltanto un problema italiano. Con la pandemia e le incertezze dovute ai cambiamenti climatici si è aperto uno scenario di accaparramenti e speculazioni che si riflette sugli Stati impegnati a garantire l’alimentazione dei cittadini. In questa corsa senza freni né regole a fare le spese sono gli agricoltori, costretti ad affrontare aumenti fino al 50 per cento del gasolio necessario per le operazioni di aratura edelle nuove semine. Ma ad aumentare sono anche i costi dei fertilizzanti. L’Italia, fortemente deficitaria per alcune produzioni, è costretta a importare grano e mais. I prezzi internazionali dei cereali sono cresciuti del 22,4% rispetto allo stesso mese del 2020, lo zucchero aumenta di oltre il 40%, i grassi vegetali del 74%. In risicoltura le quotazioni che sembrano a prima vista abbastanza soddisfacenti non sono in grado di compensare i rincari dei costi di produzioni già in atto, ad esempio il 50 per cento in più del carburante agricolo. In questo panorama è stato accolto con un respiro di sollievo l’approvazione del Consiglio dei Ministri della direttiva sulle pratiche commerciali sleali che vanno dal rispetto dei termini di pagamento (non oltre i 30 giorni per i porodotti deperibili) al divieto di modifiche unilaterali dei contratti e di aste on line a doppio ribasso, le limitazioni delle vendite sottocosto. Una boccata d’ossigneo, ma non basta per arrestare la “deregulation” in atto dei rincari che impatta anche sui consumatori.
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