Reti d’impresa, il futuro dell’agroalimentare

Reti d’impresa, il futuro dell’agroalimentare

di Enrico Villa

fassone
Carne di coscia fassone, prodotto piemontese attorno al quale si creata una rete d’impresa

Confagricoltura e un suo esponente di rilievo, Paolo Carrà presidente a Vercelli e ai vertici dell’ Ente Risi a Milano, insistono su una soluzione per la ripresa e lo sviluppo: le reti di impresa. Da due anni l’argomento è affrontato in convegni. A Vercelli l’ultima volta è accaduto venerdì 20 giugno in un contesto più ampio, riguardante il ruolo sempre più accentuato che l’agroalimentare dovrebbe  acquisire nei prossimi 20/30 anni,  grazie alla nuova politica agricola e  alla svolta auspicata della Unione Europea.

Infatti, guardando all’agenda che anche attende la risicoltura sottoposta a maggiori pericoli rispetto al passato, Mario Guidi, Carrà e altri osservano: è ormai venuto il momento di  dare vita a un robusto sistema di reti di impresa al servizio dell’agroalimentare per la ricerca, l’evoluzione tecnologica, le soluzioni di problemi aziendali possibili attraverso le alleanze e l’unione delle forze. Paolo Carrà  ha anche rimarcato: la strada dei contratti interaziendali che obbligano soltanto per gli obbiettivi da conseguire sembra la più idonea, gradita anche al sistema bancario. La ragione è proprio nei contratti che differiscono dai consorzi e dalle cooperative che vincolano in solido la responsabilità di finanziamenti, mentre il contratto di rete obbliga a rispondere per gli obbiettivi stabiliti, rispettando per il resto l’autonomia di ogni singola azienda contraente.

Ma anche la strada delle reti di azienda, incominciata nel nostro Paese solo sei/sette anni fa, non è stata semplice e facile. In una inchiesta de Il Sole 24 Ore dell’autunno scorso, risulta che  le reti di impresa crescono al ritmo di un centinaio al mese. E esse –  statistica di maggio di Unioncamere – in Italia i contratti di rete sono ormai oltre 1.500 che coinvolgono più di 7.500 aziende. In primo piano sono, nonostante la crisi, la Lombardia, la Emilia Romagna, la Toscana e il Veneto con più di mille contratti di rete e più di quattromila aziende coinvolte. Il Piemonte è a metà classifica circa, con poco più di 100 contratti e poco oltre 300 aziende contraenti che hanno individuato specifici obbiettivi interaziendali.

L’agroalimentare (agricoltura più silvicoltura ecc.) rappresenta il 4% circa, mentre avanti con oltre il 35% sono le attività manifatturiere e le attività professionali e scientifiche con il 17% circa. Però, sempre basandosi su Unioncamere e la Camera di Commercio di Milano che segue in molto particolare  l’andamento dei contratti (e delle aziende contraenti) sono Verona e Torino. Ben diversa era la situazione quando nell’ottobre 2011  incominciò ad essere applicata più diffusamente la legge 122/2010 sulle reti di impresa e sui relativi contratti. Tre anni fa Uniocamere pubblicò con i testi di Massimiliano Di Pace un manuale sulle reti di impresa dal quale, in primo piano, risultava l’Emilia Romagna con 100 reti, la Lombardia con 67 reti, la Toscana con 63, il Veneto con 50 e il Piemonte con solo 12 reti. Rispetto ad allora lo scenario è cambiato, ma non ancora sufficiente per un modo  più dinamico di fare impresa. Gli esperti ribadiscono che la formula delle reti di impresa è la più adatta per le medie aziende fra le quali annovera anche quelle agroalimentari.

Infatti, sempre nell’autunno 2013, a Varese è nato il distretto integrato Sifood costituito da reti di azienda, università e associazioni di categoria con la finalità della ricerca e dello sviluppo tecnologico nell’ambito della filiera alimentare. Il comparto principale è quello della bresaola, con 15.900 tonnellate annue , lo 0,6% e un valore di 256,6 milioni di euro. Ugualmente, un esempio viene da Cuneo con il Coavi e le connesse reti di azienda: 3 mila operatori commerciano ogni anno 800 mila capi della rinomata Fassona della coscia, fondamentale nella cucina italiana.

 

 

 

 

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