Si chiama divieto della monosuccessione. Bruxelles ha deciso che nello stesso campo occorre applicare l’avvicendamento colturale previsto dalla nuova Pac dell’Unione europea nel nome della tutela ambientale e della sostenibilità. Produrre sempre lo stesso cereale depaupera il terreno e minaccia la biodiversità. Si parte già dal 2024. Escluse, da questa decisione, le aziende risicole e quelle i cui seminativi sono utilizzati per oltre il 75% da prato permanente finalizzato a foraggio.
Le regole sono tassative. Rinviate nel 2023, dal prossimo anno dovranno essere applicate. Chi sceglie di proseguire nel 2024 con le medesime coltivazioni, l’anno successivo dovrà rinunciare e saltare un turno. O viceversa.
Gli agricoltori potrebbero ovviare scegliendo alternative. Alcune risulterebbero però penalizzanti: dedicare la metà dei terreni alla coltivazione storica il primo anno e l’altra metà spostarla al secondo, con il risultato di un raccolto dimezzato per ognuno dei due anni; oppure non ottemperre all’obbligo, ma dovrebbero rinunciare agli incentivi comunitari equivalenti a circa 200 euro/ha in media per il mais della Pianura Padana. E’ probabile che molte aziende moncolturali (mais o grano) si rivolgano ad altri seminativi, come la soia, che garantisce una diversificazione e la continuità dell’aiuto comunitario. Ma c’è un problema: una minore redditività, perché il mais è tra le colture più produttive (con circa 10 tonnellate all’ettaro) contro le 3 della soia. E – osservano gli addetti ai lavori – lo stop per un anno alla coltivazione del mais interromperebbe anche la filiera produttiva che lega le aziende dal campo alla stalla e alla zootecnia, visto che il granoturco è la materia prima fondamentale per l’alimentazione animale. Il Piemonte è fra le regioni più produttive, con 1,2 milioni di tonnellate pari al 26,6% del totale nazionale.
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