Questa volta il riso annega nell’acqua

di Gianfranco Quaglia

Una valanga d’acqua si è abbattuta sulla risaia italiana. Tanta pioggia così non si vedeva da
anni. La cercavano i risicoltori, ma non in questo periodo: è arrivata nella fase più critica della
raccolta. Non solo inutile, ma dannosa. Tanto da condizionare la raccolta, ferma a fine ottobre
al 50% della superficie. Con una doppia beffa: produzione compromessa, in quantità e resa, in
alcuni casi anche in qualità; acqua piovana che rende le risaie acquitrini, quasi impraticabili a
mietitrebbie e trattori; milioni di litri di riserva idrica che se ne vanno ai fiumi e al mare.
Dispersa. E dire che sino allo scorso anno, proprio per contrastare la siccità, considerato il
problema numero uno, era stato promesso un piano generale di invasi e bacini di raccolta.
Nulla, finora soltanto parole. Lo sa bene Natalia Bobba, presidente di Ente Nazionale Risi:
guarda sconsolata l’evoluzione climatica e gli effetti collaterali, che si ripercuotono
direttamente sulle aziende agricole: “Prima una primavera piovosa, che ha ostacolato le
operazioni di semina. Poi è arrivata l’afa estiva che ci ha fatto sperare in un recupero; ora
siamo di nuovo con l’acqua alla gola, è il caso di dirlo. Le conseguenze sono sotto gli occhi di
tutti: l’aumento della superficie coltivata, da 210.000 ettari del 2023 a 226.129 di quest’anno
non basterà a incrementare la produzione. Annate complicate, a cominciare da quella del
2020, quando la risaia fu danneggiata dall’alluvione della Sesia; nel 2022 la grande sete, il 2023
un anno ibrido e ora il 2024 disastroso”.
Anzi, è probabile che sia inferiore rispetto al 2023. E nei campi si assiste a un fenomeno
naturale nuovo: i chicchi rimasti sulle pannocchie (e sono la maggior parte) stanno
pregerminando. Insomma, spuntano i germogli, come se fossero stati riseminati in acqua
durante la stagione primaverile. Pare non fosse mai accaduto, ma è il segno di un grande
cambiamento climatico che interroga anche gli scettici. A soffrire di più sono le varietà da
interno, dedicate al mercato domestico finalizzato ai risotti, mentre gli Indica (da export,
insalate e contorno) resistono meglio. Unica consolazione: con le disponibilità di prodotto
scarse o limitate l’offerta ha buon gioco sulla domanda, le quotazioni sulle principali piazze
(Vercelli, Novara, Mortara) mantengono la stabilità e per alcune varietà sono anche in risalita.
Insomma, in questo mare d’acqua non cercata c’è fame di riso, in Italia e nel resto d’Europa.

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