di Gianfranco Quaglia
Le Giornate di Primavera sono diventate ormai da anni un appuntamento d’eccellenza che il Fai (Fondo italiano per l’ambiente) propone per riscoprire luoghi e residenze (molte chiusi al pubblico) che aprono per essere ammirati. Siamo alla ventitreesima edizione e il motto, come sempre, è esplicito e accattivante: due giorni per scoprire l’Italia, 365 per salvarla. Può essere un edificio storico, un monumento, un’abitazione privata, una chiesa o un oratorio. A volte, come capita quest’anno in Piemonte, una testimonianza legata all’agricoltura.
E’ il caso dell’Accademia dell’Agricoltura di Torino, che apre al pubblico nel 230° anniversario di costituzione, quando nel maggio 1785 il re Vittorio Amedeo III di Savoia diede vita all’antica Società Agraria. Istituzione che a distanza di secoli ha mantenuto intatta la sua «mission», come usa dire oggi: promuovere studi, ricerca scientifica e sperimentale, conferenze, congressi, diventando un centro di documentazione a beneficio di un’attività formativa ancora presente. Quindi non un cenacolo ristretto, racchiuso nelle storiche sale di via Doria a Torino, ma una visione a tutto campo attraverso la pratica svolta sui terreni circostanti l’abbazia di Vezzolano ad Albugnano (Asti), dove operano i ricercatori dell’Istituto per la meccanizzazione agricola del Cnr.
Da quella reale Accademia, che annovera tra i soci storici anche Camillo Benso di Cavour e Luigi Einaudi, a un’altra presenza significativa del panorama agricolo italiano. Siamo a Chivasso: qui il Fai ha deciso di dedicare le Giornate di Primavera all’edificio di presa del Canale Cavour, il manufatto più importante e significativo di quell’opera costruita a tempo di record, tra il 1863 e il 1866 e che cambiò il volto della risicoltura Made in Italy trasformando l’intero settore e l’economia di un territorio.
Il canale ha origine dal fiume Po a Chivasso e termina il suo corso dopo 85 chilometri finendo nel Ticino a Galliate (Novara). L’edificio di presa è un’opera monumentale, il simbolo di quell’opera «tutta di braccia e badile», che diede lavoro a 14 mila uomini.
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