di Enrico Villa
Paolo Pileri è professore di progettazione e pianificazione urbanistica al Politecnico di Milano, dipartimento di architettura e studi urbani. E’ anche un appassionato di bicicletta che utilizza ogni volta che può al posto dell’automobile. Il professor Pileri, che si occupa molto di suolo, del suo risparmio e del suo presunto spreco, è anche il responsabile scientifico del “Progetto Vento” che con pista ciclabile di 679 chilometri dovrebbe garantire il collegamento agevole “a forza di gambe” da Moncalieri a Venezia lungo il Po, anche utilizzando il ”ramo collaterale” di 47 chilometri da Milano a Pavia .
Il 2 giugno, Paolo Pileri e la sua équipe dei giovani architetti e urbanisti Lorenzo Cozzi, Eloisa Bonacina, Alessandro Giacomel, Diana Giudici, Giulio Viganò e Flavio Pellegrini hanno percorso in bicicletta i 679 chilometri con diversi scopi scientifici e di ricerca: provare che una ciclabile, sul modello delle altre 14 in esercizio sia nell’Europa comunitaria che fuori è possibile. Essa favorirebbe l’occupazione, il turismo, l’amore per il paesaggio che è fatto soprattutto di suolo da difendere. Sono anche stati fatti dei calcoli, e questa la conclusione: con una spesa di 80 milioni di euro si creerebbero almeno duemila posti di lavoro collegando 242 località in Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto, 300 punti di ricettività, 2.000 attività commerciali, 10.000 aziende agricole. Nei giorni del lungo sopralluogo del “Progetto Vento” le associazioni Ovest Sesia di Vercelli e Est Sesia di Novara hanno presentato un’altra ciclabile lungo il Canale Cavour di 85 chilometri circa da Chivasso a Galliate, una variante del “Progetto Vento” ugualmente sostenuta dal DAStU del Politecnico di Milano, appunto il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani.
Non solo. Per interconnessione sempre più frequente tra progetti apparentemente distanti uno dall’altro, la pista ciclabile lungo il Po da Moncalieri a Venezia ha portato l’attenzione su due risvolti particolari, bensì assai importanti: lo sviluppo del’industria metalmeccanica dei cicli, insidiata dalle massicce importazioni cinesi, che non deve essere compromesso per ragioni economiche e ambientali; e la tutela del suolo, in particolare agricolo, gravemente e irreparabilmente compromesso. Il nostro Paese per l’Italian Style detiene il primato nel mondo per cicli come in Europa da utilizzare sempre di più sulle “routes” con spese di adattamento relativamente esigue. Infatti, anche nel 2012 abbiamo prodotto circa 2 milioni e 700 mila biciclette di cui 50.000 elettriche con propulsione assistita contro soltanto 8.000 automobili e 2.000 motociclette elettriche.
Ma il disastro vero, che progetti come il “Vento” e il “Cavour” potrebbero contrastare validamente, è avvenuto per il suolo “rapinato”. Nel suo “Rapporto 2014” presentato a marzo l’ Ispra, l’ Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale è stato categorico: “In percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio”, cosicché nel 2012 sono stati divorati 22.000 chilometri quadrati di suolo in buona parte prima destinati a produttività agricola. In termini diversi: è come se fossero state fagocitate aree corrispondenti a Milano, Firenze, Bologna, Napoli, Palermo. Gli squilibri territoriali si sono impennati con altrettanti disastri difficilmente contenibili. Secondo l’ Ispra, meno suolo al 7,3% ha voluto dire cambiamenti climatici inarrestabili con 21 milioni di tonnellate di CO2 in più corrispondenti a quanto prodotto da 4 milioni di utilitarie che i proprietari lascerebbero in garage per il tempo libero se il “Progetto Vento” fosse già realtà. Anche un altro dato allarma: ogni ettaro di suolo consumato comporta in più per la gestione delle acque 500 milioni di Euro sottratti alla produzione di cereali che importiamo. Avere cura del suolo, come anche il “Progetto Vento” perora, è certamente un affare.
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