In Piemonte, il mese di marzo sarà il mese della zootecnia e dell’allevamento. Infatti, saranno avviate le procedure per l’assegnazione dei pascoli in montagna di proprietà comunale che coprono una superficie di 305.405 ettari, cioè il 42% della superficie formatasi nella regione per donazioni, lasciti e altre assegnazioni storiche. Per la popolazione montana avere a disposizione erba con cui alimentare gli animali grossi, vale a dire soprattutto i bovini, voleva dire ricchezza non reperibile altrove. Come nei giorni scorsi è stato evidenziato dalla Coldiretti di Novara e di Vercelli, i pascoli ai piedi del Monterosa sono nuovamente popolati dai lupi con le loro scorrerie in Valvogna, a monte di Alagna Valsesia, e nella valle di Macugnaga. Il presidente di Vercelli e di Biella, Paolo Dellarole, facendo riferimento ad una iniziativa per contenere la proliferazione dei lupi, ha richiamato una iniziativa per tutte le Alpi Occidentali, presentata a Torino mesi fa da Bruno Rivarossa. In sostanza: per quanti stanno in città, adottino un pastore che dai lupi si deve difendere. E alla lunga “gli animali da rapina” che assaltano le mandrie e le greggi dovrebbero essere fortemente contenuti. E questo accadrà quanto più le istituzioni pubbliche (Regione in primo luogo) sosterranno le quote di abbattimento dei selvatici da parte degli allevatori.
Ma le nuove norme regionali non riguardano soltanto i lupi. Infatti, il 17 ottobre scorso la giunta della Regione Piemonte ha varato “schemi tipo per l’affitto e la concessione delle malghe di proprietà pubblica” dove salgono le mandrie, fra le quali anche i capi della razza piemontese, alla quale il 23 dicembre scorso la UE ha accordato la indicazione geografica protetta dopo un decennio di insistenze inutili, come con soddisfazione hanno rilevato Delia Revelli presidente di Cuneo e regionale della Coldiretti nonché Carlo Gabetti, presidente della organizzazione Coalvi, con il compito di tutelare sia la Piemontese che tutta la carne di qualità proveniente dagli allevamenti regionali. In buona parte, il riconoscimento IGP della Piemontese va proprio connesso al regolamento sulla qualità, introdotto un trimestre fa, dei pascoli. Ha fatto notare in una sua nota l’assessorato all’agricoltura, retto dall’astigiano Giorgio Ferrero: per il corretto utilizzo delle produzioni foraggere mediante la definizione dei carichi di bestiame e di periodi di pascolamento adeguati alla conservazione delle cotiche del terreno. Proprio i nuovi “schemi tipo” di affitto regionale favoriranno anche il pascolo della Razza Piemontese e, di conseguenza, la sua elevata qualità. Osserva Carlo Gabetti presidente Coalvi: con l’IGP abbiamo uno strumento di valorizzazione e di tutela della carne di Razza Piemontese valido non solo in Italia ma in tutta l’Unione Europea. La carne dei vitelloni piemontesi della coscia, può essere prodotta solo da bovini di Razza Piemontese nati e allevati in Piemonte e in alcuni comuni delle province di Imperia e Savona. Va, inoltre, ricordato che il “tesoro carneo” sulla groppa della Piemontese è la conseguenza di una lunghissima selezione incominciata nel Pakistan, e che la razza, si è insediata nelle province di Alessandria, Asti, Cuneo, Torino, Biella, Novara, Vercelli oltre che nel retroterra Savonese e Imperiese. La sua qualità, economicamente assai rilevante, in questi giorni potrebbe subire un’alta presunta insidia. L’Istat ha infatti recentemente documentato che sono in forte ascesa i consumi vegetariani e vegani che si oppongono alla nutrizione carnea la quale in Italia è passata pro capite a 78 chilogrammi dai 27 chili nel 1977.
Però la qualità della Piemontese, che come IGP avrà piena cittadinanza europea dal 23 marzo (3 mesi dopo la pubblicazione sulla Gazzetta UE) ha attratto per un’altra ragione: la elevata qualità che non piacerebbe agli Usa che accettano nelle bistecche gli OGM e che secondo una valutazione, alla maniera del nuovo presidente Donald Trump, vorrebbero riaprire le trattative in sede WTO. Infatti gli americani temono la concorrenza della carne della Piemontese, appunto per la sua qualità che, secondo una nota, sarebbero in violazione di impegni assunti nel 2009. Gli Stati Uniti, grandi allevatori in Texas e nelle montagne occidentali nonché grandi consumatori di braciole, sono molto sensibili alla presunta concorrenza di carne di qualità, sia pure proveniente da razze meno diffuse, specie se non danno problemi con i mangimi di provenienza OGM. Alcuni dati statistici indicano quale in realtà sia il “fortino americano” da difendere dai farmers statunitensi: 100 milioni di bovini, più 58 milioni di suini per alimentare quotidianamente i consumatori con 120 chilogrammi pro capite che anche in Germania e in altri partner della UE navigano a livello degli 80/90 chilogrammi pro capite. Come un pigmeo dell’allevamento, contando soltanto sulla sola qualità e la capacità aziendale in Europa, ma soprattutto in America, la Piemontese dovrà vedersela con i giganti americani e europei. E in parte riuscirà ad avere ragione se costruirà un retroterra organizzativo anche fatto di buoni pascoli a buon mercato.
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