Il 67 per cento dei cinesi non ha mai bevuto vino italiano e non sa neppure che l’Italia lo procuce. Di più: i buyer cinesi, coloro che acquistano il nostro prodotto, lo collocano nei supermercati di Pechino o Shangai accanto ai vini cileni, posizionati sugli scaffali in basso e non ad altezza d’uomo, dove invece sono in evidenza quelli francesi, partiti molto prima di noi per calvalcare il Dragone attraverso una campagna promozionale sostenuta da finanziamenti pubblici e esplicitata dai colossi della grande distribuzione Made in Francia.
La percentuale del 67% la dice lunga sulla nostra capacità di vendere il Made in Italy nel mondo. E non riguarda soltanto il vino, di cui siamo i maggiori produttori del pianeta, e anche i migliori sotto il profilo qualitativo. Grandi meriti, riconosciuti da tutti, ma ancora scarso l’impatto sui consumatori. Giampiero Calzolari, presidente di Granarolo, dice che viviamo “un momento felice di buona accoglienza del food italiano, c’è un consumatore ansioso nel mondo del Made in Italy, ma la nostra catena distributiva all’estero è ancora troppo carente”. E poi c’è l’Italian sounding, il falso italiano che fattura oltre 60 miliardi di euro, il doppio dell’esportazione dell’agroalimentare. Leggi, accordi, trattative, vertenze, non bastano per sconfiggere queste “bufale” (è il caso di dirlo) che accreditano false mozzarelle, parmgiani, gorgonzola, come italiani quando non lo sono. C’è un solo modo per contrastare questa tendenza: puntare sulla comunicazione. Luigi Pio Scordamaglia, presidente Federalimentare: “Sono stati stanziati 28 milioni di euro per spiegare ai consumatori americani quali sono i prodotti italiani veri e dove si può trovarli, senza limitarsi a quelli di nicchia. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che Dop e Igp valgono solo il 10 per cento in termini di fatturato”.
Proprio in questi giorni è n atto negli Stati Uniti una missione di Vinitaly con il Minsitero delle sviluppo economico e Ice. Due gli appuntamenti : il Summer Fancy Food Showe il Wine bar, due momenti di promozione di alto profilo. Fra gli espositori di Summer Fancyu, ci sarà anche Riso Buono, piccola ma significativa azienda di Casalbeltrame (Novara).
La comunicazione, ecco la chiave di volta. Accade anche in altri comparti dell’agroalimentare. Non solo vino e formaggi. Il riso, ad esempio, che sta attraversando un momento critico. L’Ente Nazionale Risi ha chiesto di essere sganciato dalle limitazioni imposte dalla spending review per avviare una campagna su larga scala che consenta ai risi italiani di sfondare sui mercati domestico e straniero. La percezione che arriva al consumatore spesso è superficiale, si riferisce a varietà straniere che fanno tendenza fra i giovani, a scapito di quelle da risotto (come il Carnaroli).
Noi siamo i migliori ma il 67% dei cinesi ignora che l’Italia produce vino
di Gianfranco Quaglia
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