di Gianfranco Quaglia
Cappelli di paglia, otto-dieci ore al giorno in risaia. Le mondine? Ma no, sono i cinesi, ormai parte integrante del paesaggio agricolo della pianura piemontese e lombarda. Non è una novità: soltanto loro, in piena estate, sono rimasti a solcare la risaia silente nel difficilissimo lavoro di selezione del riso da seme. Con l’occhio allenato da una tradizione millenaria tramandata, gli ex contadini della Repubblica Cinese risolvono il problema che affligge la coltivazione del riso Made in Italy, rappresentato dalla presenza del riso selvatico (meglio noto come Crodo) che cresce numeroso in campo accanto alle pannocchie autentiche del cereale. Sono ex perché ormai da parecchi anni emigrati in Italia, occupati quasi tutti nei ristoranti e nelle pizzerie delle città, soprattutto Milano. La selezione del riso da seme avviene tra luglio e settembre, prima della mietitura: approfittano del periodo di ferie o di chiusura estiva dei locali per diventare risaioli stagionali. Ospitati nei cascinali, regolarmente retribuiti secondo contratto (all’agricoltore costano circa 16 euro l’ora) gli epigoni delle mondine sono uno sparuto gruppo, qualche centinaio in tutto, rispetto all’esercito delle lavoratrici dei campi celebrate in «Riso amaro». Il fatto è che anche i mondini cinesi sono sempre più rari, contesi dalle aziende agricole che se li scambiano e ne fanno un utilizzo parsimonioso. E non esiste un turnover. Insomma, manca un ricambio generazionale anche fra i cinesi: i loro figli non sono più lavapiatti improvvisati, gestiscono bar, pizzerie, ristoranti, avviati punti vendita nelle città. Lontani migliaia di chilometri e anni luce dal rapporto con la risaia dei loro nonni, pochissimi conoscono il cereale e men che meno le infestanti come il crodo che insidia il riso in purezza. Non scenderanno mai in campo per subentrare ai genitori che già stanno segnando il passo. L’allarme è stato lanciato dai risicoltori italiani: rischia di estinguersi anche uno degli ultimi lavori manuali. Ma soprattutto potrebbe essere inficiato il Made in Italy della nostra risicoltura. Questo è il grande paradosso: l’Italia teme la concorrenza del Far East, ma senza le mani rapide e gli occhi attenti degli orientali non saprebbe come cavarsela.
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