Miele amaro: il clima e le importazioni piegano il settore

di Gianfranco Quaglia

Adornino Scacchi di Oleggio (NO), uno dei maggiori produttori di miele piemontesi, è
sconsolato mentre osserva i suoi 4 mila alveari, ognuno dei quali dovrebbe avere una
potenzialità di 60-70 mila api in periodi di normalità: “Quest’anno invece non trovano neppure
il modo di nutrirsi, a causa della mancanza di fioriture. Rischiano seriamente di scomparire,
insieme come molte aziende”. Quando pronuncia il verbo “scomparire” Scacchi non ha il
coraggio di tradurre in un termine più definitivo e drammatico: morire di fame. Per
scongiurare questo evento naturale gli apicoltori italiani sono costretti a ricorrere
all’alimentazione artificiale: con sciroppi specifici che nutrono le api, un surrogato del nettare
che avrebbero succhiato dai fiori in condizioni climatiche normali. Il che significa aumento dei
costi, non compensati da ricavi annullati dalla mancata produzione di miele. In alcune zone
(Novara e Verbano Cusio Ossola) la produzione dell’acacia è stata praticamente annullata (tra il
90 e il 100%).
Insomma, un comparto in ginocchio, già bombardato dai pesticidi e soprattutto dalla
concorrenza straniera. Per contrappasso c’è una valanga di miele che entra in Europa
attraverso triangolazioni commerciali: Cina, Ucraina, Ungheria. Il vento dell’Est soffia forte sul
prodotto Made in Italy, mette in crisi il mercato con prezzi al ribasso, ammazza i nostri
produttori già provati dal clima, confonde i consumatori. Questa mancanza di reciprocità or
dovrebbe essere frenata dalla cosiddetta “Direttiva Breakfast” (o Direttiva Colazione)
approvata al fotofinish dall’uscente Europarlamento e riconosciuta da tutti gli Stati membri:
secondo la normativa dovranno essere indicati sulle confezioni di miele l’origine, la
denominazione di vendita, l’etichettatura, l’imballaggio. Insomma, la massima trasparenza
sulla tracciabilità, comprese le indicazioni di eventuali miscele.
Perché se il raccolto di acacia è stato annullato dal freddo e dalle piogge, ci sono commerciati
che ricorrono al prodotto anche in Romania, Moldavia, dove le acacie sono fiorite. Ma a
prescindere dalla provenienza, non sempre c’è la certezza che quel miele sia effettivamente
tale: in parecchi casi è prodotto similare, ricavato attraverso sciroppi e zuccheri. Insomma,
falso.
Coldiretti denuncia che nel 2024 sono aumentate del 23% le importazioni: nei primi due mesi
sono arrivati quasi 4,8 milioni di chili, la maggior parte proveniente da paesi extra UE, a
quotazioni stracciate (pochi euro al Kg). Rimanendo nell’area europea, si stima che l’Ungheria
abbia praticamente raddoppiato le vendite in Italia. Secondo Unionfood il mercato del miele
vale, complessivamente nel nostro Paese, circa 205 milioni di euro, cifra nella quale rientra
quello confezionato pe i consumatori e quello usato per le industrie alimentari, cosmetici e
prodotti farmaceutici.

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