A Torino, il 17 Ottobre 2001, nello storico Salone di palazzo Barolo, si svolgeva un incontro dal titolo: “Vino Arte Territorio – Il Barbera dei Colli Tortonesi e le grandi opere di Pellizza da Volpedo”. Promosso dall’Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, l’incontro era il momento conclusivo di un interessante e suggestivo progetto iniziato 5 anni prima dai Viticoltori del Tortonese – Cantina Sociale di Tortona, in collaborazione con l’Associazione Pellizza da Volpedo, che vedeva protagonisti il prestigioso vino DOC Barbera Colli Tortonesi e il grande, nobile figlio di questa terra: Giuseppe Pellizza da Volpedo con i suoi capolavori artistici. Ogni anno, per 5 anni consecutivi, la Cantina selezionava il vino per 5.000 bottiglie di Barbera Colli Tortonesi con l’etichetta riproducente un capolavoro del pittore. Nei 5 anni, in ordine cronologico, le bottiglie riproducevano: “Speranze deluse”, “Panni al sole”, Lo specchio della vita”, “Il sole”, e si concludeva, con l’etichetta riproducente “Il Quarto Stato”, appunto, in quel 2001, anno del centenario della sua ultimazione: il quadro più importante ed emblematico di Pellizza e uno dei quadri più famosi e conosciuti nel mondo per la sua grandiosa forza simbolica, diventata subito e per sempre icona del Socialismo Riformista, che in quell’anno celebrava i 100 anni dalla sua ultimazione. Questo incontro, ancora una volta, dimostrava le grandi qualità dei vini piemontesi il cui valore aggiunto sta in quel loro profondo legame con i territori di produzione, dove il vino e la vitivinicoltura hanno creato fascinosi paesaggi agrari e dove il vino esalta la storia, l’arte, la cultura. Di Giuseppe Pellizza, va rimarcato il rapporto profondo con la sua terra, il suo paese: Volpedo, dove nacque il 28 luglio del 1868, da Pietro e Maddalena Cantù, una famiglia di agiati contadini. E dopo gli anni della formazione, della frequentazione, in diverse parti d’Italia, di scuole, accademie e contatti con altri importanti artisti, decise, nel 1892, di tornare a vivere e lavorare a Volpedo dove sposò una contadina del paese, Teresa Bidone, e proprio da quell’anno, nel firmare le sue opere, a Giuseppe Pellizza, cominciò ad aggiungere “da Volpedo”. Come tanti grandi della storia, la sua fu una vita tormentata e tragica, fatta di delusioni e mancati riconoscimenti, quei giusti riconoscimenti che arrivano tardi o a posteriori. Sta di fatto che morì, per suicidio, nel suo studio a Volpedo il 14 Giugno del 1907, non ancora quarantenne, tragico gesto che probabilmente fu la conseguenza della morte della moglie, avvenuta pochi mesi prima. Del resto, la fama e i riconoscimenti erano cominciati ad arrivare; Pellizza si guadagnava la definizione di uno dei più importanti pittori internazionali della tecnica divisionista e della corrente sociale. Il rapporto con la sua terra si riflette in quasi tutte le sue opere che riprendono personaggi, situazioni, scorci del paese di Volpedo e dei dintorni: il torrente Curone, le colline di Monleale. Volpedo oggi, “classificato tra i Borghi più belli d’Italia”, per le sue bellezze ambientali, architettoniche (tra cui la splendida Pieve Romanica di san Pietro) è un museo a cielo aperto, in un percorso guidato lungo gli itinerari Pellizziani per scoprire i luoghi reali che hanno ispirato il pittore, compresa la piazza dove compose “Il Quarto Stato”, oltre alla visita alla Casa Studio del pittore e del Museo Didattico.
L’incontro di Torino era stata anche una buona occasione per parlare del Tortonese: questo territorio estremo lembo a sud-est del Piemonte, una sorta di propaggine che si incunea, arpionandosi, tra i confini di Lombardia, Emilia e Liguria, nel cuore degli Appennini. Quei Colli Tortonesi che si estendono come una cordigliera tra il bacino dello Scrivia e del Curone, tagliato dal torrente Grue e che si interseca con il bacino del torrente Borbera. Sostanzialmente sono i territori della ex Comunità Montana Valli Curone, Grue, Ossona. Ne viene fuori un paesaggio agrario e rurale fascinoso, in buona parte ancora incontaminato, aspro, selvaggio: piccole strade di campagna, campi arati, filari di vite, boschi, alte e aspre colline. Primeggia, tra le coltivazioni agricole, la vitivinicoltura, che qui ha avuto sempre una grande storia e tradizioni, ma che ha vissuto alterne fortune, poiché sconta la marginalità, la scarsa conoscenza e consistenza, ma che ha tenuto negli anni grazie a soggetti come la Cantina Sociale di Tortona, una delle più antiche del Piemonte: nasce nel 1931 per opera di 38 soci, che ha garantito un minimo di reddito e di presenza sul territorio della viticoltura, e col tempo e gli investimenti ha conquistato sempre maggiori spazi nella lavorazione e commercializzazione, e che oggi rappresenta 250 soci e 330 ettari di vigneti che producono vini di alta qualità della gamma dei Colli Tortonesi; e a tal proposito, ricordo il buon lavoro del suo storico presidente Carlo Varni, cui sono succeduti Franco Bonadeo e poi Antonino Casalinuovo, attualmente in carica. Come nel resto del Piemonte, anche qui, il rinascimento del vino è storia degli ultimi 25 anni, seppur più faticosa; a questa rinascita, hanno contribuito diversi elementi e sicuramente, correlata ad una scelta delle qualità in vigneto e in cantina, la modifiche del disciplinare delle DOC, passando dal sistema delle varie DOC (Barbera Colli Tortonesi, Dolcetto Colli Tortonesi, ecc.), ad un sistema di una unica DOC di territorio: “Colli Tortonesi”, nelle diverse tipologie (Barbera, Dolcetto, Cortese, ecc.). Altro forte simbolo della rinascita di questo territorio è la straordinaria ascesa del Timorasso: antico vitigno autoctono a bacca bianca di questa zona, che era quasi in estinzione e che ora ha raggiunto i 100 ettari e circa 15 produttori, su un totale di 135 aziende vitivinicole e su circa 700 ettari di vigneti del comprensorio “Colli Tortonesi”, dei quali 350 ettari a Barbera, 86 di Cortese e 60 di Dolcetto. Il Timorasso, dunque, con la sua novità, la sua vitalità, il suo eclettismo, le sue qualità, ha portato alla ribalta questo territorio, contribuendo a scoprire e riscoprire le qualità degli altri vini “Colli Tortonesi”. Protagonista emblematico di questa storia straordinaria del Timorasso è stato Valter Massa, titolare dell’omonima azienda vitivinicola di Monleale, autentico pioniere nell’opera di riscoperta e rilancio di questo vitigno e nel lungo lavoro, in vigneto e in cantina, per farne emergere tutte qualità. Anche per questo Valter Massa, nel 2005, al Vinitaly di Verona, è stato insignito, quale benemerito della vitivinicoltura, della Gran Medaglia Cangrande, designato dalla Regione Piemonte con l’allora assessore all’agricoltura Ugo Cavallera. Ma Valter Massa, oltre alle parole ed opere, già nel fisico asciutto, affilato, scapigliato, nell’atteggiamento da autentico contadino ribelle (ma riformista: e me lo immagino in uno dei volti de “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo), incarna un ruolo da paladino di questo territorio che ancora soffre della lontananza e della scarsa attenzione di Torino e dei centri decisionali. Ma quella di Valter Massa è stata la parte più appariscente di uno straordinario impegno di tutti i produttori e delle loro organizzazioni, delle associazioni e degli Enti Locali; ricordo a tal proposito, anche il buon lavoro svolto dal Consorzio di tutela dei Vini Colli Tortonesi, e l’impegno del suo attuale presidente Stefano Bergaglio. Ed ancora, della Strada del Vino Colli Tortonesi, curata amorevolmente dal suo presidente Mauro Colombo che è stato anche uno dei dirigenti della Cantina Sociale di Tortona. Strada del vino che era stata riconosciuta dalla Regione Piemonte nel 2005 e presentata ufficialmente proprio quell’anno al Salone del Vino di Torino, in un incontro nell’area espositiva della Regione Piemonte cui avevano partecipato: oltre a Mauro Colombo, Alessandro Scaccheri e Roberto Daffonchio, presidente e vice del Consorzio tutela vini Colli Tortonesi, Carlo Boggio Sola, presidente Fondazione Cassa Risparmio Tortona, Davide Sandalo, assessore agricoltura Provincia di Alessandria, Vincenzo Caprile, presidente Comunità Montana Valli Curone Grue Ossona, Giuliano Guerci, presidente Comunità Collinare Colli Tortonesi, Francesco Marguati, Sindaco di Tortona. Una realtà, dunque, che ha sempre avuto l’attenzione e il sostegno della Regione Piemonte, in quell’opera di tutela, sviluppo e valorizzazione di questo territorio che, oltre ai vini, vanta altre produzioni di qualità. A cominciare dalla frutticoltura (che ha avuto nell’avvocato Carlo Baravalle, principe del foro, amministratore del Comune di Volpedo e frutticultore, a metà del secolo scorso, il pioniere promotore di questa attività); e soprattutto la coltivazione delle pesche, che ha un suo piccolo distretto concentrato nei comuni di Viguzzolo, Volpedo , Monleale e Volpeglino, dove opera lodevolmente la Cooperativa “Volpedo Frutta”, fondata nel 1993 e che oggi rappresenta 226 soci, che lavora 250.000 quintali di frutta: pesche soprattutto, la “Pesca di Volpedo”, riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale del Piemonte, ma anche la celebre “Ciliegia Bella di Garbagna” e la “Fragola di Tortona”, entrambi ecotipi locali e riconosciuti come PAT della Regione Piemonte; ed ancora, albicocche, pere, patate, pomodori. La cooperativa, attualmente guidata dal presidente Pietro Cairo (uno dei soci fondatori) e dal direttore Gianpiero Chiapparoli (primo storico presidente della cooperativa), ha un fatturato di circa 3 milioni di euro e si contraddistingue per i sistemi di qualità da sempre adottati; a cominciare dalla pratica della Difesa Integrata delle coltivazioni, e dall’adozione della pratica “Meno quantità più qualità”, (adottata intelligentemente nella vitivinicoltura), ovvero con la tecnica del “diradamento”, che dà meno frutti, ma di buona pezzatura, di grande gusto, sapore, odore, raccolti e immessi sul mercato man mano che maturano; elementi che hanno permesso alla cooperativa di conquistare sempre più fette di mercato e di consumatori e spuntare prezzi molto più remunerativi.
Altro prodotto simbolo di questo territorio è il formaggio Montebore: originale per la forma a “Torta nuziale”, formata da tre robioline a dimensione decrescente sovrapposte; è un formaggio dalla storia millenaria, citato come il “celebre formaggio di Tortona” nelle cronache del matrimonio celebrato a Tortona nel 1489 tra Isabella di Aragona e Gian Galeazzo Sforza, che ebbe un cerimoniere d’eccezione: Leonardo da Vinci. Un formaggio tanto celebre, ma che nel dopoguerra ha avuto un declino produttivo, tanto che negli anni ’90 del secolo scorso era praticamente scomparso. E la rinascita parte nel 1997 proprio dalla frazione Montebore (che ha dato il nome al formaggio) e dalla vicina frazione Calvadi, entrambe facenti parte del comune di Dernice, dove vivono le ultime due signore che conoscono le tecniche di produzione. Il progetto è promosso dalla Comunità Montana, il Montebore diventa uno dei primi Presidi di Slow Food, e già nel 1999, a Cheese di Bra, ne vengono presentate le prime forme. Il Montebore viene anche censito e riconosciuto dalla Regione come Prodotto agroalimentare tradizionale del Piemonte. Si sviluppa anche l’attività di promozione che ha nel Montebore un prodotto mitico. Quindi si costituisce un consorzio di tutela che adotta un marchio e un disciplinare che prevede latte di pecora e latte vaccino. E oggi sono cinque i piccoli caseifici e quattro gli allevatori che sono i soci produttori del Montebore, sparsi tra le Valli Curone, Grue, Borbera. La crisi, nei decenni scorsi, del Montebore si intreccia e ne diventa conseguenza, con la drastica riduzione degli allevamenti: quelli ovini in particolare (una volta molto diffusi, come possiamo anche vedere in molti quadri di Pellizza; ma anche quella bovina, infatti questo è il territorio della razza bovina “Tortonese” (detta anche “Varzanese” e “Ottenese”), la “Vacca bionda” che si era ridotta ad una decina di capi, e che negli ultimi anni è stata una delle razze autoctone piemontesi a rischio estinzione, oggetto di vari progetti di intervento di salvaguardia e rilancio, in particolare una misura del Programma di Sviluppo Rurale 2000-2006 del Piemonte; attualmente conta quasi 300 capi. E a proposito di zootecnia, spicca positivamente l’attività del “Consorzio Carne bovina all’erba” del Giarolo: una quindicina di allevatori che praticano la linea Vacca-Vitello e producono carni genuine e di qualità. Ed ancora, il Consorzio Salame nobile del Giarolo: una ventina di soggetti, tra allevatori, produttori e macellerie che producono questo eccellente salame, nobile perché usano le parti più nobili del maiale. Aziende sparse in quel territorio delle Valli Curone, Grue, Ossona, dominate, appunto, dall’alto dei suoi 1472 metri, dal monte Giarolo che, anche nel nome, ne testimonia il forte legame con il territorio. Un territorio, come dicevamo, selvaggio e incontaminato, ricco di boschi e di zone dove abbondano i funghi e ancor più gli estasianti tartufi neri e bianchi; sono presenti consorzi di tartufai in molti comuni come Avolasca, Brignano Frascata, Costa Vescovato, Castellania, Casasco, Montemarzino. E per finire cito ancora l’attività del Consorzio Piemonte Ubertengo, costituito una ventina di anni fa per la promozione di tutta la produzione e del territorio. E a tal proposito, credo che meriti almeno una citazione il buon lavoro, organizzativo e di coordinamento, svolto da tanti anni da Cesare Giordano, per le attività di promozione e nei tanti eventi promossi anche in collaborazione con la Regione Piemonte.
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