di Salvatore Vullo
Anno 2006, 40° edizione del Vinitaly di Verona. la Regione Piemonte, con il suo assessore all’agricoltura Mino Taricco, designa Anna Martinengo Bologna per la Gran Medaglia Cangrande: il prestigioso riconoscimento che, in ogni edizione, l’Ente Fiera di Verona assegna ai benemeriti della vitivinicoltura segnalati dalle Regioni italiane.
Anna Martinengo nasce a Belveglio, in provincia di Asti, il 1 maggio 1947. Nel 1965, a 18 anni, sposa Giacomo Bologna di Rocchetta Tanaro. Da qui inizia la nuova vita di moglie, quindi madre, e la straordinaria avventura al fianco di Giacomo Bologna: un grandioso personaggio che, con intelligenza, semplicità e con grande passione, vive e opera per gli amici, la buona tavola, le tradizioni, la terra, ed ancor più per i vini; la sua trattoria Braida, frequentata anche da personaggi famosi come padre Eligio, Gianni Rivera, Bruno Lauzi, Luigi Veronelli, diventa un luogo mitico dove si propone il meglio della tradizione agroalimentare piemontese, come il Cardo Gobbo di Nizza, il Peperone Quadrato di Motta di Costigliole, la Nocciola Tonda gentile delle Langhe, la Robiola di Roccaverano, la Bagna Cauda, i tartufi, abbinati ai suoi eccelsi vini. E lo stesso avviene nelle fiere, come il Bibe di Genova e il Vinitaly di Verona che da pioniere piemontese comincia a frequentare e dove il suo stand diventa un luogo di culto per visitatori, operatori, giornalisti, uomini di cultura.
E tutto parte, appunto, da quei suoi vigneti in Rocchetta Tanaro, nel Monferrato Astigiano, che Giacomo Bologna ha ereditato dal padre Giuseppe, detto Braida (e Braida resta il marchio aziendale e dei vini); lavorando all’insegna delle buone tradizioni e con interesse verso le innovazioni, cerca sempre più di esaltare la qualità dei vini. Sono gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso: tempi duri e difficili per il vino; anche per questo Giacomo Bologna, con tutta la sua fervida e vulcanica attività, ne diventa simbolicamente un pioniere, un alfiere del riscatto, specie per il Barbera.
E proprio le sue Barbere, diventate mitiche come “La Monella”, “Bricco dell’Uccellone”, “Ai Suma”, segnano il lento, ma ineluttabile risorgimento del Barbera, o meglio delle Barbere che in questi ultimi decenni hanno avuto i giusti riconoscimenti e sono entrati nell’olimpo dei grandi vini.
Un processo, questo, che Anna vive e condivide con Giacomo, con sempre maggiore impegno, anche per l’ampliarsi dell’azienda e con l’acquisizione di nuovi vigneti a Mango per la produzione del Moscato d’Asti, a Trezzo Tinella nel cuneese per i vini bianchi e a Masio nell’alessandrino. Anche da questi sintetici elementi si può dedurre che Anna rappresenta un fulgido esempio di quelle donne che costituiscono “L’anello forte” di quel mondo contadino e rurale piemontese, descritto da Nuto Revelli.
E quell’anello diventa ancora più forte con la morte prematura di Giacomo nel 1990, e così l’ impegno di Anna diventa totale e titanico. Si rimbocca le maniche e già l’anno successivo fa costruire la nuova Cantina Braida e si dà da fare, assieme ai figli Raffaella e Giuseppe, per consolidare e far crescere l’azienda che, infatti, nel giro di alcuni anni, diventa leader del settore, mantenendo la stessa filosofia e passione di Giacomo. Acquista, con pazienza e tenacia, i terreni sulla collina di Montebruna, a Rocchetta Tanaro, e riporta all’antico splendore la collina reimpiantando nuovamente i vigneti a Barbera secondo le più avanzate e moderne tecniche agronomiche. I 40 ettari di vigneto della Braida sono, per Rocchetta Tanaro, un vanto ed un orgoglio. La vite ed il vino sono parte della sua vita e con entusiasmo ha trasmesso questa passione ai figli ed a tutta la sua famiglia.
Anna, donna del vino, ha saputo anche portare avanti iniziative e investimenti importanti con l’obbiettivo di creare vini di primissima qualità e di mantenere ai più alti livelli la Barbera che Giacomo tanto amava. Dunque, una grande storia quella di Anna e Giacomo, un legame fortissimo. Ed è naturale che il conferimento della medaglia CanGrande ad Anna, in quel 2006, per la Regione Piemonte, era una importante occasione per ricordare anche la storia epica di Giacomo Bologna.
A tal proposito, la Regione Piemonte aveva voluto rendere omaggio a Giacomo Bologna pochi anni prima, precisamente nell’ottobre del 2002 al Salone del vino di Torino. In quella occasione, nello spazio espositivo della Regione era stato organizzato un incontro per presentare il libro dal titolo, appunto, “Giacomo Bologna”, autore Niki Stefi, fresco di stampa della Veronelli Editore nella splendida collana intitolata “I Semi” diretta da Nichi Stefi: una collana audace, nel solco dello spirito veronelliano, per tanti motivi e in particolare perché afferma che la cultura è appartenere alla terra, perché sceglie i miti in controtendenza, e infatti è dedicata a personaggi che hanno valorizzato la terra in cui hanno vissuto e lavorato, che hanno inciso sul comportamento delle persone, che hanno cambiato con la loro opera lo stato delle cose. La collana e la casa editrice sono una delle tante opere realizzate da quel grande personaggio che è stato Luigi Veronelli, un maestro, un pioniere nella sua opera di scopritore, valorizzatore dei nostri prodotti agroalimentari. Veronelli nel 1971 era venuto a Rocchetta Tanaro e aveva conosciuto Giacomo Bologna; tra i due si stabilì subito una forte stima e amicizia che durò tutta la vita. Veronelli rimase entusiasta di Giacomo, della sua trattoria, dei suoi vini. Da quel momento Veronelli lo invitò spesso a partecipare alle sue trasmissioni televisive in Rai come “Colazione a studio 7” e “Viaggio sentimentale nell’Italia dei vini”. Dopo Veronelli cominciarono a parlarne tanti altri personaggi, altri giornalisti e Giacomo Bologna diventa un personaggio “pubblico”. E in quella occasione al Salone del Vino di Torino, alla presentazione del libro c’era proprio Luigi Veronelli (sarebbe morto due anni dopo, nel 2004), assieme all’autore Niki Stefi, ad Arturo Rota, all’assessore all’agricoltura della Regione Piemonte Ugo Cavallera, alla presenza di Anna Martinengo Bologna e dei figli Raffaella e Beppe. Interventi e testimonianze che mettono ancora in luce , sinteticamente, quello messo bene in risalto nel libro: ovvero la ricostruzione, a più voci, di una grande storia, di uno straordinario, eclettico personaggio e contadino di Rocchetta Tanaro, delle sue opere, della sua famiglia, dei suoi tantissimi amici; un uomo che aveva costruito il mito della Barbera, dimostrando, con le sue produzioni, che si potevano creare, dal vitigno Barbera. E’ un libro che merita di essere letto e riletto, intanto perché è una bella e interessante storia e biografia di un grande personaggio, e poi perché la storia e la memoria da individuale si fa collettiva, si contestualizza attraverso le testimonianze e i contributi di personaggi autorevoli ed emblematici, come, appunto, Luigi Veronelli, Stefano Icardi, Cesare Pillon, Giacomo De Laude, Gianni Basso, Maurizio Zanella, Bruno Lauzi, Francesco Arrigoni, Danilo Baroncini, Padre Eligio, oltre a testimonianze dello stesso Giacomo, della moglie Anna e della figlia Raffaella.
Nel contesto di tale storia, è doveroso citare un altro personaggio importante, Paolo Massobrio: giornalista, scrittore dell’enogastronomia, fondatore dell’associazione Club di Papillon e promotore di iniziative e manifestazioni importanti, come “Golosaria”. Paolo Massobrio, da profondo conoscitore e amico di Giacomo Bologna, è stato anche l’ideatore, il curatore e l’editore di un volumetto intitolato “The Big Jack” (Giacomo Bologna)”; “The Big Jack” (Il grande Giacomo), così gli americani che l’avevano conosciuto e apprezzato i suoi vini, chiamavano Giacomo Bologna, che era stato un pioniere nel far conoscere e comprare il vino piemontese negli USA. il volumetto uscì nel 1996, raccoglie scritti e testimonianze di vari personaggi, tra cui Franco Piccinelli, Davide Paolini, Gianni Mura, Edoardo Raspelli.
Dunque, un legame fortissimo tra Giacomo e Anna, accomunati anche da un fatale tragico destino: nel febbraio del 2010 muore Anna Martinengo Bologna, stroncata troppo presto, come Giacomo nel 1990, da un male incurabile. E così il testimone, in modo definitivo, passa a Raffaella Bologna e al fratello Beppe, che già a partire dalla scomparsa del padre in quel tragico 1990, avevano sostenuto lo sforzo titanico e totale della mamma, nella conduzione e nella crescita di quella azienda che si consoliderà sempre più come una delle più importanti aziende vitivinicole del Piemonte e dell’Italia. Lo dimostrano i dati economici e produttivi, ma che sono il frutto del lodevole lavoro di Raffaella (Donna del Vino e altro esempio di quell’”Anello forte” Revelliano) e di Beppe, i quali, da degni eredi, continuano ad operare nel solco di quella grande storia e di quei valori che ruotano attorno alla mitica figura di Giacomo Bologna.
Infine, è opportuno ricordare un ennesimo omaggio alla storia di Giacomo Bologna, con un film realizzato nel 2012 dalla regista torinese Giulia Graglia, che si è specializzata sui temi dell’enogastronomia. Il titolo del film è “Il re del mosto”, che è il titolo della canzone che Paolo Frola, medico cantautore di Rocchetta Tanaro, aveva dedicato a Giacomo. Il film racconta, in parole e musica, la vita e le gesta di Giacomo Bologna; un film goliardico, allegro, nostalgico, musicale: un inno al vino, al cibo ma soprattutto alla vita, che va vissuta senza risparmiarsi, circondati da amici, da bottiglie e da canti. Il film era stato presentato e proiettato l’8 Aprile del 2014, nello spazio espositivo della Regione Piemonte al 48° Vinitaly di Verona, con la partecipazione, assieme alla regista Giulia Graglia, di Raffaella Bologna, di Giulio Porzio presidente della Vignaioli Piemontese, del giornalista Maurizio Gily e di Arturo Rota, Casa Veronelli.
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