E’ tempo che l’UE – come già hanno fatto gli Stati Uniti – decida drastiche misure nei confronti del Myanmar. Non solo sanzionando funzionari del Paese asiatico dove la repressione è sfociata nel sangue con l’uccisione anche di decine di bambini. No, il mondo agricolo in primo piano attende provvedimenti commerciali, che blocchino le esportazioni dalla ex Birmania verso l’Europa. Coldiretti, Confagricoltura, Cia, sono già intervenute chiedendo lo stop immediato, ad esempio, alle agevolazioni daziarie concesse al riso tipo japonica che arriva dal Myanmar (nel 2020 ha fatto segnare un aumento esponenziale). Adesso è Copa-Cogeca, che a Bruxelles rappresenta il mondo delle cooperative, ad alzare il tiro. Su impulso del presidente del gruppo riso, l’italiano Giuseppe Ferraris di Novara, il segretario generale di Copa-Cogeca, Pekka Pesonen, ha scritto una lettera dal tenore molto preciso a Sabine Weynand, direttore della “DG trade European Commission” (Commissione del Commercio) richiamando l’attenzione sul settore sensibile della risicoltura e gli effetti prodotti dalle importazioni. “La coltivazione – scrive – fornisce circa 50 mila posti di lavoro diretti e indiretti nell’UE, soprattutto in zone dove non è possibile coltivare altre colture. Le risaie forniscono molti vantaggi ambientali: sono essenziali per il mantenimento della biodiversità e forniscono a molte specie animali un habitat nelle sone umide e una fonte di cibo…Il commercio deve essere basato su regole equilibrate, eque e trasparenti per evitare distorsioni della concorrenza…il riso è uno dei settori più minati dalla politica commerciale dell’UE e dai suoi accordi”.
La lettera ricorda che la clausola di salvaguardia applicata per limitare le importazioni di cereale tipo Indica da Myanmar e Cambogia scadrà a fine anno e che è necessario prorogare questa misura. Ma in ogni caso manca uno “scudo” per l’altra principale categoria di riso, lo japonica. In ogni caso – sino a quando non migliora la grave situazione in atto nel Myanmar – Copa-Cogeca chiede che le preferenze commerciali siano ritirate. Ma c’è anche un altro aspetto a precoccupare la risicoltura europea e quella italiana in particolare: la mancanza di reciprocità. “Se l’UE procederà con l’ambizioso Green Deal senza garantire la nostra produzione agricola, questo metterà in discussione le basi dei nostri accordi commerciali esistenti. Quando si fornisce l’accesso ai mercati su settori sensibili a terzi paesi che non condividono le nostre stesse ambizioni verdi, l’impatto cumulativo metterà enormi pressioni sugli agircoltori europei, si ridurrà notevolmente la loro capacità di investire nelle nostre naturali risorse, minando così gli obiettivi del Green Deal”.
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