Che ai russi piaccia il vino Made in Italy non è una novità. Anzi, è una conferma. Il recente Vinitaly ha accolto centinaia di buyers di Mosca, attratti dalle bollicine ma anche dai rossi d’annata. Ma c’è di più, qualcosa che sta muovendo il mercato a cominciare dalla base, ovvero dai vigneti. Insomma, l’oligarchia moscovita ha messo gli occhi sulle nostre colline, non solo nella solita e attraente Toscana, ma in Piemonte. Così il vino è diventato business, investimento, un patrimonio da coltivare e promuovere. Ufficialmente tutto top secret, in realtà alla luce del sole che ammanta le colline dell’Alto Piemonte, dove maturano i Nebbioli. Una glasnost che non fa neppure tanto mistero del potere economico racchiuso nelle tasche di pochi oligarchi, ma quei pochi in grado di stringere patti solidi e convincenti con i produttori locali. Puntano alle Doc e alle Docg e nel caso specifico a quel Ghemme che da pochi mesi ha festeggiato il ventesimo anniversario del riconoscimento della Denominazione d’origine controllata e garantita. In altre parole: un influente imprenditore russo, senza dubbio vicino a Putin, da qualche anno ha adocchiato una bella villa nell’entroterra del Lago Maggiore, l’ha acquistata stabilendo il suo quartier generale (famiglia, guardie del corpo, elicottero) e da lì spazia a Ovest, Est e Sud. E guardando alle colline novaresi, quelle che dalla risaia salgono verso la Valsesia, ha intuito l’oppportunità: entrare in contatto, comprare o condividere alcune vigne di Ghemme, perché quel vino piace in Italia, in Europa e alla Madre Russia. Non c’è dubbio: è un inizio di un’operazione che, se avrà successo, si potrà allargare ad altri terreni. Già si parla della vicina Sizzano. Insomma, presto il brindisi lo declineremo in lingua russa, non facile da pronunciare. Ma con un buon Nebbiolo basterà un “dasvidania”, arrivederci.
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