di Gianfranco Quaglia
Un’estate a rimpiattino. Di fronte un nemico subdolo, camaleontico, opportunista. Capace di colpire alle spalle quando meno te lo aspetti e credi di aver preso tutte le misure necessarie per arginarlo. Lo sa bene Marinella Rodolfi, micologa ambientale, professore a contratto all’Università di Pavia, punto di riferimento del progetto “Brumava”, ideato anni fa su iniziativa di Fondazione Agraria Novarese oggi presieduta da Giulia Baldrighi, coordinato da Ente Nazionale Risi, per combattere uno dei patogeni più temibili, la pyricularia oryzae, meglio conosciuto come “brusone”. Un fungo che causa danni gravi e importanti all’intera produzione del riso Made in Italy, ma è anche diffuso in tutto il mondo.
Professoressa Marinella Rodolfi, come sta andando la lotta quest’anno?
“Grazie alle centraline captaspore posizionate nelle risaie piemontesi riusciamo a segnalare in tempo reale gli attacchi, ad avvisare gli agricoltori dell’arrivo del fungo affinché intervengano con i prodotti antagonisti in modo mirato e selettivo. Ma quest’estate anomala sta mettendo a dura prova tutti, tranne il brusone. Nella prima fase dell’estate, grazie alle forti temperature diurne, il potere infettivo del fungo era molto basso, anzi le spore erano praticamente disidratate. Ma dopo il crollo termico ci ha stupito che il fungo riprendesse vigore in modo importante, come hanno dimostrato i bollettini”.
Significa che il brusone sa adattarsi e scegliere i momenti lui più congeniali?
“Proprio così. Nel 2003, quando si ebbe una lunga estate calda con pochissimi sbalzi termici il brusone praticamente non esisteva. Ora, invece, siamo di fronte a picchi improvvisi che favoriscono l’insorgenza. D’altronde non dobbiamo stupirci più di tanto, le notizie che arrivano da tutto il mondo per quanto riguarda le fitopatologie sono molto critiche. Non solo in risaia: al primo posto troviamo la ruggine del frumento, seguita dalla peronospera della patata. Ma subito dopo le due principali malattie del riso: rhizoctonia e pyricularia. Sono fitopatologie che riducono i raccolti e di conseguenza provocano una diminuzione delle disponibilità di cibo”.
In quale misura il brusone può incidere sulla produzione?
“In alcuni paesi extraeuropei si arriva a perdite sino al 40-70 per cento. Da noi si raggiunge anche il 25-30 per cento nei casi più gravi. Gli studi hanno dimostrato che esistono molte alterazioni sulla fisiologia del fungo, in grado di adattarsi ai mutamenti climatici, è un patogeno evoluto. Quando cambia il metabolismo basale della pianta anche il fungo varia il proprio ciclo biologico per aspettare il riso. Insomma, si potrebbe dire che agisce con la visione dell’opportunismo. Si sa mimetizzare, nascondersi, perché è un fungo ambientale. Se il riso non c’è, non ha necessità di essere infettivo. Sa attendere, ma appena scopre che esiste qualcosa che lo ingolosisce si tuffa a capofitto. Sfrutta tutte le opportunità, ad esempio anche i danni provocati dai chicchi di grandine sulle foglie della pianta. Lui s’insinua e svolge il suo lavoro devastante. Ecco perché occorre stare all’erta, non concedergli nulla. Il risicoltore deve fare di tutto, prendere ogni precauzione per non aprirgli o spalancargli la porta”.
Che cosa si può fare per contrastarlo e prevenire le sue mosse?
“Tutti quanti, a cominciare dall’agricoltore, dobbiamo essere precisi su quando intervenire e soprattutto flessibili. Intanto conoscere bene le nuove varietà e saperle gestire, mantenere l’equilibro tra buon senso e conoscenza del proprio territorio. Insomma, saper coniugare tradizione con innovazione. Tutto ciò necessita di un continuo aggiornamento e di una buona gestione della risaia”.
La semina in asciutta può limitare o favorire il fenomeno?
“Abbiamo osservato la presenza di pyricularia anche nelle risaie seminate in asciutta. Per ora non esiste una risposta certa”.
Quanto può essere utile la ricerca?
“Direi determinante. L’obiettivo è creare varietà meno favorevoli agli attacchi del patogeno. Ma il vero problema non è tanto mettere a disposizione dei produttori piante potenzialmente resistenti, non abbiamo difficoltà a immetterle sul mercato. L’obiettivo è trovare quelle varietà che abbiano un’efficacia di resistenza su tempi lunghi. Finora con i principi attivi consentiti, utilizzati in campo e il Progetto Brumava siamo riusciti ad arginare e prevenire danni maggiori. A questo proposito va sottolineato il grande lavoro svolto da tutti i partecipanti all’iniziativa. Con la Fondazione agraria novarese un ringraziamento particolare va rivolto ai tecnici in campo, che ogni giorno monitorano l’evolversi della diffusione delle spore e trasmettono in tempo reale i risultati che vanno a formare il bollettino. Senza il loro lavoro tutto sarebbe vano”.
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