La battaglia del riso che l’Italia sta combattendo a Bruxelles per ottenere il ripristino dei dazi sulle importazioni dai Paesi Meno Avanzati (Cambogia e Myanmar) e bloccare la concorrenza che ha messo in crisi il settore, va oltre l’interesse corporativo di una categoria. Ha un significato storico senza precedenti, cade proprio nel momento in cui è in atto uno scontro epocale tra Unione Europea e il nostro Paese, a rischio isolamento per la manovra economica. Il riso, da sempre e purtroppo considerato merce di scambio da parte di molti Paesi europei per ottenere altri vantaggi sotto il profilo commerciale e industriale, ora incarna un valore politico inatteso: se il 4 dicembre il Comitato tecnico del sistema di preferenze generalizzato, composto dai rappresentanti di tutti i Paesi membri, dovesse accogliere l’indicazione già esplicitata della Commissione, significherebbe che la voce dell’Italia non solo è stata ascoltata, ma avvalorata. Risultato non da poco, quasi in controtendenza, considerato il vento di opposizione e pregiudizio che da settimane soffia nei corridoi di Bruxelles quando si parla di Italia. Il “dossier riso”, aperto dagli euroborocrati, dai tecnici e dai commissari dell’Unione Europea, è diventato punto di riferimento anche per tutti i politici, soprattutto italiani, alle prese con i rapporti Italia-UE. Se passa la richiesta della clausola di salvaguardia e la sua applicazione (con il ripristino dei dazi) significa che l’Italia ha saputo far valere le sue ragioni, vincendo anche l’ostracismo dei Paesi del Nord, dove sono situate le grandi industrie di trasformazione che importano dal Sudest asiatico e hanno tutto l’interesse che il regime preferenziale possa continuare.
Si darà: ecco la dimostrazione che battere i pugni e alzare la voce premia. Niente di tutto ciò: se il traguardo sarà raggiunto, il merito lo si deve a una strategia completamente opposta, contraddistinta da azioni ragionate, orchestrate da un gioco di squadra. Quattro anni di battaglie, passo dopo passo giorno per giorno, nel convincere Bruxelles che la risaia europea rischia di morire senza peraltro agevolare i contadini asiatici. Anzi: che il dazio zero ha favorito soltanto le multinazionali, gli importatori e i regimi politici di quei Paesi che non rispettano i diritti umani. Ma non si sarebbe potuto dimostrare tutto ciò con i muscoli: la filiera risicola (a cominciare dall’Airi, l’Associazione industrie risiere italiane che lanciò l’allarme cinque anni fa contribuendo poi con continue missioni a Roma e Bruxelles, l’azione pressante di Ente Nazionale Risi, con sindacati agricoli e ministeri) ha concertato un attacco su più fronti, usando il cervello e la ragione: due G7 dei Paesi del riso a Milano e Bruxelles, poi la Commissione Europea ha mandato in Cambogia e Myanmar i suoi inviati toccando con mano la realtà, infine un’indagine ispettiva nelle aziende risicole italiane e spagnole per accertare i danni economici. Ancora: il coinvolgimento dei massimi esponenti politici, non ultimo il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, a Vercelli.
Qualunque sia il verdetto del 4 dicembre, la “Repubblica del riso” ha mandato un segnale a tutti: la politica con la P maiuscola sarà lenta e faticosa, ancora da Prima Repubblica, ma talvolta arriva al punto.
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