di Gianfranco Quaglia
Il fabbro di Proh (fra le risaie del Novarese) fu l’ultimo a rimanere e resistere. Migliaia di uomini, donne e bambini, con le poche masserizie accumulate in fretta, passavano davanti alla bottega e puntavano a Nord, guardando verso il Ros (oggi Monte Rosa) come all’ultimo rifugio possibile, un Ararat che li salvasse dall’Apocalisse.
Era un popolo in fuga quello che sfilava sotto gli occhi di Tasgezio, il fabbro del piccolo centro rurale ai piedi delle colline, nell’anno 100 a.C. E se nello sguardo dell’artigiano c’era meraviglia e incredulità, sui volti di quella povera gente era dipinto il terrore. Che aveva un nome: Cimbri. Un’orda, anzi un esercito ben armato e determinato, calato dal Nord Europa e pronto a scontrarsi con le legioni di Caio Mario, in arrivo da Roma per fermare quel popolo guerriero avvolto dal mistero. Teatro della battaglia sarebbe stata la pianura padana, «una lavagna sulla quale sono state scritte infinite storie, che poi il tempo si è incaricato di cancellare, per scriverne delle altre». Così Sebastiano Vassalli, nel suo ultimo libro, «Terre Selvagge» (Rizzoli) descrive una vicenda epocale poco nota, ma determinante per approfondire la nostra storia e capire da dove veniamo e guardare al futuro.
Vassalli da sempre ha scelto di vivere queste «Terre Selvagge», calandosi a sua volta in mezzo alle risaie dominate dal profilo di quel Ros imponente, carico di magia attrattiva e oggi, come allora, crocevia simbolico e geografico dell’Europa.
Il fabbro di Proh non voleva credere ai suoi occhi, anzi era fiducioso che i Cimbri non avrebbero mai valicato il grande fiume (il Ticino o il Po) per arrivare sino alle sue terre, a quei tempi brulle e acquitrinose. Invece il clangore delle armi risuonò in quelle pianure del Piemonte, che allora si chiamavano Campi Raudii, tra Ticino e Sesia, Vercelli e Novara. Non è rimasto nulla, naturalmente, a testimonianza di quello scontro, ma un nome nella pianura risicola c’è: Cameriano (frazione di Casalino), lungo la strada che collega Novara a Vercelli, dove duemila anni fa era stato eretto l’arco di trionfo in onore di Mario, da cui prese il nome il villaggio.
In quelle Terre Selvagge e un po’ misteriose, appunto i Campi Raudii visti da Roma, si combattè una delle battaglie più cruente della storia in terra italica: Caio Mario sbarrò la strada ai Cimbri e quella vittoria impresse una svolta epocale non solo alle popolazioni del Piemonte. Senza quell’episodio certamente i Campi Raudii avrebbero imboccato una strada diversa. Dice Vassalli: “I Campi Raudii non esistono più, perché sono stati bonificati; ed è più che probabile che la bonifica abbia avuto inizio con quella legge agraria voluta da Mario e dal tribuno della plebe Saturnino, che tra i suoi scopi aveva anche quello di trasformare la vittoria sui Cimbri in un’opportunità di sviluppo per l’economia del nordovest d’Italia e per quella di Roma”.
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