di Gianfranco Quaglia
A Canelli (Asti) si è tenuto il quarto Forum nazionale Metodo Classico “La sostenibile leggerezza delle bollicine”, con due temicentdrali: il coinvolgimento del comparto enomecanico e la rete dei teritori uniti dal filo delle bollicine. dalla sua prima edizione il Forum rappresenta un momento di confronto e riflessione sullo stato del’artedel metodo classico italiano, area di assoluta eccellenza nel panorama mondiale del vino, che negli ultimi anni ha registrsto un incremento in termini di apprezzamento e consumi. La scelta di organizzare l’appuntamento a Canelli è legata a ragioni dio apternità storica: nel 1865 Carlo Gancia, canellese e pioniere del mondo del vino, produsse in Italia il primo spumante con metodo champenoise.
Moderati dal giornalista Vanni Cornero, esperto di tematiche agricole, al Forum 2019 hanno partecipato Hicham Barida (Barida International), graziano Bocchino (Intercap), Riccardo di Crescenzo (Pe.Di.), Gianpaolo Dogliani (Gai), Massimo Benetello (Cantina la Vis), Giulia Di Sipio (Azienda Nicola Di Sipio), Alessandro Picchi (Gancia). Tutti gli interventi sono stati preceduti dalla relazione d’apertura tecnico-classico sul comparto metodo classico, tenuta da Giuseppe Martelli, enologo e biologo, per dieci anni presidente del Comitato nazionale vini del Ministero delle politiche agricole e per quasi quaranta direttore generale di Assoenologi. Di seguito pubblichiamo un’intervista a Martelli.
Dottor Martelli, qual è lo stato dell’arte delle bollicine nel mondo?
“Nel mondo gli spumanti rappresentano circa il 10% della complessiva produzione vitivinicola: grossomodo 3.500 milioni di bottiglie. Si stima che in Europa la produzione “bollicine” si attesti sui 2.150 milioni di bottiglie di cui oltre un miliardo parlano italiano, con in testa il Prosecco che da solo è probabile che, a fine 2019, arrivi a quasi 500 milioni. In questo contesto sono 40 milioni le nostre bottiglie di Metodo Classico; una produzione in continua crescita che rappresenta un indiscusso fiore all’occhiello dell’enologia tricolore. Quattro denominazioni: Franciacorta, Trentodoc, Alta Langa e Oltrepò Pavese Metodo Classico detengono quasi il 90% dell’intera produzione a Denominazione di origine protetta (Doc e Docg). Nel 2018 in Italia la produzione vinicola è stata di 55 milioni di ettolitri con un incremento del 29% su base annua, con un valore record dell’export di 6,2 miliardi. Quest’anno si registra un calo produttivo tra il 15 ed il 17%, nonostante ciò, a fine 2019, l’introito i delle nostre vendite all’estero potrebbe raggiungere i 6,5 miliardi di euro. Quindi il settore vitivinicolo va bene e quello spumantistico ancor di più. I motivi del successo sono diversi, tra essi figurano sicuramente la ricerca, la tecnologia e l’innovazione che trovano una valida sintesi pratica nell’industria enomeccanica di settore, ossia nelle macchine, nei processi e negli accessori per l’enologia. Un comparto che vede l’Italia tra i leader mondiali con un fatturato intorno ai 2 miliardi di euro e che ha in Piemonte un importante distretto stimato nel 25% del valore nazionale. Non a caso in molte aziende vinicole del pianeta, dalle pigiatrici alle imbottigliatrici, i marchi sono italiani”.
Quanto spumante si produce nel mondo? In Europa ed in Italia?
“Secondo l’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin nel mondo gli spumanti rappresentano mediamente il 10% della produzione vinicola totale, in pratica circa 3.500 milioni di bottiglie annue. Da fonti diverse, si desume che in Europa se ne confezionano circa 2.150 milioni di bottiglie di cui oltre un miliardo nel nostro Paese”
Quindi quasi il 50% degli spumanti europei parlano italiano?
“Direi di sì, visto che dai dati Istat si evince che dei 20 milioni di ettolitri di vini italiani venduti all’estero nel 2018 il 23% è rappresentato dagli spumanti. Protagonista indiscusso il Prosecco, di cui nel 2018 sono state prodotte e vendute, tra Doc e Docg, oltre 450 milioni di bottiglie che a fine 2019 potrebbero diventare 500 milioni. Pertanto quasi il 30% degli spumanti mondiali e poco meno del 50% di quelli europei parla italiano. Non è facile trovare dati precisi comunque, da fonti diverse, si desume che la Francia si attesta sui 580 milioni di bottiglie di cui 300 di Champagne, la Germania ne spunta oltre 290 milioni, mentre la Spagna dovrebbe toccare i 260 quasi tutti di di Cava. La stima nei rimanenti Paesi porta a circa 10 milioni di bottiglie annue”.
Quante sono in Italia le bottiglie ottenute con la rifermentazione in bottiglia, ossia con il “Metodo Classico”?
“40 milioni. Quindi una piccola produzione ma in continuo aumento e che rappresenta un indiscusso fiore all’occhiello della nostra enologia. Lo zoccolo duro è rappresentato dai prodotti Dop concentrati in quattro denominazioni: Franciacorta, Trentodoc, Alta Langa e Oltrepò Pavese Metodo Classico che, in pratica, raggiungono quasi il 90% dell’intera produzione Dop, quelle non Dop, ossia non Doc e non Docg, sono minime”.
Lei per oltre trent’anni, come direttore di Assoenologi, ha stilato le stime sulla produzione e sull’esportazione del vino italiano. Per il 2019 le previsioni qualitative sembrano buone anche se con un decremento quantitativo rispetto allo scorso anno. Secondo lei queste stime saranno confermate?
“Credo di sì, anche se l’andamento climatico e meteorico non è stato certo dei migliori. I principali indicatori fanno prevedere una produzione compresa tra i 45 ed i 47 milioni di ettolitri, deficitaria del 15/17% rispetto al 2018 che fu un’annata particolarmente abbondante: 55 milioni di ettolitri. Ma al di là degli alti e bassi credo che un dato, tra l’altro certificato da Ismea, ci dia l’idea della strada che il vino italiano ha fatto: l’incremento, nell’ultimo decennio, del 70% in valore delle esportazioni”.
Caliamoci in una realtà più vicina, quella del Piemonte in generale e delle nostre colline in particolare. In sintesi quali sono le sue previsioni?
“In Piemonte ritengo che la produzione ruoti intorno ai 2,5 milioni di ettolitri, di qualità complessivamente interessante, ma con un decremento quantitativo di oltre il 15% rispetto allo scorso anno quando se ne produssero quasi 3 milioni di ettolitri. Anche nel novarese stimo una produzione quantitativamente deficitaria che in alcune zone potrebbe superare anche il 20% rispetto al 2018. Sulle nostre colline la vendemmia è iniziata intorno al 20 settembre con i conferimenti delle uve Erbaluce; seguite da quelle di Vespolina e dalle altre a bacca nera. Per i Nebbioli, base della Docg Ghemme e delle Doc Fara, Boca e Sizzano, ritengo si dovrà attendere la prima e forse la seconda settimana di ottobre”.
Lei ha sempre sostenuto che il vino, come qualsiasi altro prodotto biologico alimentare senza tecnologia solo casualmente può essere di qualità. Al Forum di Canelli si è affermato che Il successo del vino italiano sta anche nella ricerca e nell’innovazione. E’ questa la nuova frontiera?
“Sicuramente, anche se il discorso è piuttosto complesso. Purtroppo la tradizione da sola non risolve i problemi, non migliora la qualità. In fondo che cosa è la tradizione se non un’innovazione ben riuscita, consolidata nel tempo? Quindi ricerca, tecnologia ed innovazione sono fondamentali e trovano una valida sintesi pratica nell’industria enomeccanica di settore, ossia nelle macchine, nei processi e negli accessori per l’industria enologica. Un comparto che vede l’Italia tra i leader mondiali con un fatturato di oltre 2 miliardi di euro e che in Piemonte ha un importante distretto stimato nel 25% del valore nazionale. Non a caso in molte aziende vinicole del pianeta, dalle pigiatrici alle imbottigliatrici, molti marchi sono italiani”.
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