Il primo pensiero che l’attraversava, mentre il taxi in viaggio nella nebbia la portava da Malpensa a Casalbeltrame (in provincia di Novara), fu: “Ma chi me l’ha fatto fare!”.
Cristina Brizzolari era appena sbarcata da Roma e ora stava rimuginando su quella decisione, sospesa tra l’esclamativo e l’interrogativo. Lei, che alle spalle aveva una “vita piena, divertente, brillante”, come sottolinea. Comprava case e le rivendeva, dopo un’esperienza di giornalista tra Londra e New York. Insomma, tutt’altro mondo. Ma una mattina suo suocero, Luigi Guidobono Cavalchini, già ambasciatore a Parigi e rappresentante permanente presso l’Unione Europea a Bruxelles, aveva bussato alla porta: “Cristina, la cascina di famiglia cade a pezzi. Tu con l’esperienza che hai, dovresti andare a vedere…”.
Così è cominciata l’avventura di “Riso Buono”, diventato il “brand” della produzione e oggi anche il titolo del volume in cui Cristina racconta questa storia, scritta a quattro mani insieme con l’amica Francesca Romana Barberini. Il sottotitolo del libro spiega molte cose, a cominciare dalla caparbietà di questa romana che ha portato vento nuovo nella pianura piemontese: “Chi non semina non raccoglie”.
Stupita, forse un po’ spaventata dall’ambiente, ma non per questo rinunciataria. Anzi, il cascinale appartenuto all’antico casato dei Gautieri, si è trasformato subito in una sfida personale. Cristina, avuto il via libera dal suocero e il conforto del marito Vittorio, si è immersa nella risaia, un habitat per lei tutto da esplorare: “Io, il riso, da brava romana, l’ho sempre mangiato quando avevo il mal di pancia: bello, bianco, del supermercato e possibilmente senza sapore perché troppo sbiancato e forse anche un po’ scotto…”.
Primi passi con pervicacia e umiltà, cominciando dalla ristrutturazione del casale. Poi l’incontro con agricoltori ed esperti del settore: con l’allora sindaco Teresio Novella, il suo contoterzista Mauro Persico. La svolta quando conosce Massimo Biloni, oggi presidente della Strada del riso piemontese di qualità. L’agronomo ricercatore la spinge a seminare il Carnaroli, il principe delle varietà risicole italiane. Poi le propone un integrale nero, l’Artemide, aromatico, con un profumo intenso, ricco di ferro e selenio, frutto di un incrocio in campo tra il Venere ottenuto dallo stesso Biloni in collaborazione con un altro agricoltore, Claudio Cirio (vicepresidente della Sardo Piemontese Sementi). I due risi sono diventati le punte di diamante di questa azienda, che guarda al futuro senza tagliare le radici, a cominciare dal nome, “La mondina”, per ricordare che qui – come in tutto il settore risicolo – le lavoratrici della risaia hanno svolto un lavoro immenso.
E’ stato un decennio di coraggio e perfezionamenti, trascorso tra i campi di Casalbeltrame, gli “show cooking” in ogni parte del mondo (da Londra a Parigi e New York, Emirati Arabi, Estremo Oriente). Le presentazioni e i convegni nel cortile del cascinale, gli incontri con i grandi della cucina (da Enzo Vizzari a Gualtiero Marchesi). E quando tutto è sembrato raggiunto, realizzato, compiuto, arriva la nuova avventura: Coldiretti, il più grande sindacato agricolo europeo, le lancia la proposta: la presidenza piemontese, alla guida di oltre 90 mila coltivatori. “Ne sono rimasta stupita” scrive nel libro. “Ci pensai un attimo, ma io amo le sfide e amo allargare i miei orizzonti”. La prima volta di una donna, romana, al vertice dei coltivatori piemontesi. “Ma ogni dieci anni sono pronta a rimettermi in gioco e questa opportunità mi è sembrata davvero un ampliamento del mio lavoro con Riso Buono, quindi l’ho accettata”. Oggi fa parte anche della Giunta Nazionale.
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