La rotonda ricorda Il “Sciur Mario”

di Gianfranco Quaglia

Una storia di tenacia, tradizione e forza familiare trasmessa di padre e madre in figli e
nipoti, quella degli Invernizzi. Con un denominatore che rappresenta la cifra di un
casato di imprenditori venuti da lontano: la sobrietà. Una sola eccezione, ma ben
motivata: la dedica della rotonda alle porte della città di Novara al “Sciur Mario”,
signore nel tratto, nell’umanità e nella capacità professionale. Così ha voluto il figlio
Marco, per ricordare il papà che nel 2004, proprio davanti all’ingresso dello
stabilimento di trasformazione del riso, in via Valsesia, fu colpito da un malore fatale.
Forse ebbe soltanto il tempo di dare un ultimo sguardo fugace alla sua riseria,
diventata soprattutto per merito suo tra le più note e forti d’Italia. Il Riso Invernizzi
oggi viaggia nel mondo, esporta Made in Italy in Turchia e in Medio Oriente, fronteggia
con caparbietà la concorrenza che arriva dal Sudest asiatico (leggi Cambogia e
Myanmar) in scatole già confezionate e pronte per il mercato europeo.
Le origini di questa saga familiare affondano le radici nel lontano 1500, in Scozia,
precisamente a Inverness. Da quella città, per trasposizione, è nato il cognome
Invernizzi che in Italia, così come nel vento delle Highlands, si occupavano di pastorizia.
Nel nostro Paese, in Valsassina, sopra Como. Agli inizi dell’Ottocento un Invernizzi,
Carlo, porta a svernare i suoi bovini nella pianura milanese, novarese e lomellina
sistemandosi in una grande stalla, a Confienza, come racconta Marco: “Era rimasta
vuota perché i proprietari l’avevano abbandonata per non pagare le tasse
napoleoniche che gravavano su chi occupava i cascinali. Ma quel mio antenato viene
scoperto dalle guardie dell’imperatore che gli requisiscono tutta la mandria. A quel
punto, per non morire di fame, va a lavorare come garzone presso un mugnaio”. E qui
la svolta, con un sapore romanzesco: “Carlo s’innamora della figlia del principale, la
sposa e inizia una nuova vita”.
Dal mulino, dove si macina grano e mais, sino alla trasformazione del riso grezzo in
bianco, quando il cereale si sta diffondendo nella pianura novarese dopo la costruzione
del canale Cavour. E’ Vincenzo Invernizzi, con i suoi cinque figli, ad approdare nel
Novarese, dove affitta un mulino. Poi il salto di qualità e quantità, nella sede di un
“brillatoio”, accanto alla Cascina Montà, che prendeva nome dalla salita della strada
verso la Valsesia. Qui ha inizio la nuova era di quella che oggi è conosciuta come Riseria
Invernizzi. Arriviamo nel 1930, la Invernizzi entra nell’Associazione Granaria di Milano e
cinque anni dopo vince la medaglia d’argento all’esposizione universale di Bruxelles.
Anni Sessanta: Carlo Mario, nipote di Vincenzo, imprime una netta crescita alla società
che guarda al futuro e aumenta le esportazioni in Europa. Nel 1993, con l’uscita dalla
società dei cugini (siamo alla quarta generazione), Carlo Mario (Il signor Mario) e il
figlio Marco proseguono nell’attività. Scomparso il padre, che lascia un grande vuoto,
la riseria consolidata e ingrandita è nelle mani di Marco che nel 2008 acquista un ramo

d’azienda a San Pietro Mosezzo, per la produzione di cracker e gallette (i derivati a
base di riso maggiormente richiesti dai consumatori). Con la linea di tutte le principali
varietà e il biologico, la Invernizzi è tra le dieci maggiori realtà italiane nel settore della
trasformazione del riso. Siamo ala quinta generazione: oggi, accanto a Marco e alla
moglie Milena, lavorano anche i figli Pietro e Edoardo. E poi c’è anche Lucia, la più
giovane.

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