Non sarà una risaia extralarge come richiesto dall’industria. Ma sicuramente rinforzata rispetto al 2020. Gli acquisti sono in aumento per l’effetto pandemia che ha spinto i consumi domestici. Ma non solo: la tendenza salutistica, in italia e nel resto d’Europa, la presenza di comunità etniche, l’utilizzo nella preparazione dei derivati, sono tutti fattori che stanno trainando il mercato. Insomma, c’è bisogno di maggior prodotto per soddisfare le richieste e ridurre la dipendenza dalle importazioni. La “Risaia Italia”, pur essendo la prima nell’UE, non basta così com’è. Airi (Associazione industrie risiere) ha chiesto un allargamento della superficie, circa 15 mila ettari in più, portandola dai 227 mila attuali a 243.000 mila. Secondo il sondaggio lanciato da Ente Nazionale Risi su un campione di un migliaio di risicoltori  l’aumento dovrebbe interessare poco meno di duemila ettari, ancora lontano dalle richieste, con variazioni in crescita per  alcune varietà (Roma, Arborio, Carnaroli e lungo B), e in diminuzione per Selenio, Loto e altri tondi. Uno sforzo- secondo l’industria – apprezzabile, non ancora sufficiente. “Riteniamo – si sottolinea in una nota- che sarebbe importante incrementare la produzione italiana per sostenere adeguatamente il maggior gradimento accordato al riso. Questo trend è anche confermato quest’anno dalle esportazioni italiane verso paesi terzi che al 31 gennaio 2021 risultano cresciute del 20 per cento rispetto al 2020. Sul fronte dell’import, la minore disponibilità di lungo B nazionale rispetto all’aumento del consumo sta cotringendo l’industria a aumentare le importazioni passate da 30 mila tonellate a 45 mila. Non solo: nell’ultimo decennio, in presenza di un incremento dei consumi nell’Unione Europea del 21% c’è stata una diminuzione della disponibilità di prodotto comunitario del 10 per cento. Conseguenza: le industrie, in particolare nel Nord Europa, hanno aumentato le importazioni del 93 %”.