E’ stato definito “novel food” (nuovo alimento). L’Unione Europea ha dato il via libera nella primavera dello scorso anno. Un “passaporto” che consente di mettere in tavola tre specie: il grillo domestico (Acheta domestica) parzialmente sgrassato; la tarma o camola della farina (Tenebrio molityor) e la “locusta migratoria” (cavalletta).
Alternativa o alternanza? “L’insetto nel piatto, il cibo del futuro”, titolo del convegno che si è svolto a “Novara Sviluppo” a cura di Giulia Maffei, biologa e divulgatrice scientifica, con Giulia Tacchini, “communication designer”, fondatrici dell’associazione Entonote, era senza interrogativo. E forse, la mancanza della punteggiatura, più che grilli e larve ha portato nel piatto una proposta sapida di polemiche. Cominciata con le osservazioni sui social dell’assessore comunale Ivan De Grandis, contrario all’iniziativa, organizzata a ridosso della giornata del Made in Italy nella città che ha ospitato nel giro di pochi giorni due eventi classici imperniati sulla produzione gastronomica locale (“paniscia” contro “panissa”, e i gorgonzola day). Proseguita con la risposta della vicepresidente di Novara Sviluppo, Simona Pruno, che rivendica la legittimità dell’incontro sugli insetti: “Il nostro intento è unicamente quello di fare informazione, approfondire temi di attualità con esperti e studiosi. Rispettiamo la posizione dell’assessore, ma non vogliamo convincere nessuno a mangiare insetti né screditare in alcun modo la tradizione culinaria del Made in Italy o le radici culturali e le tradizioni del nostro territorio che anzi sosteniamo fortemente”.
Ma potrebbe essere veramente, quello degli insetti, il piatto del futuro prossimo, questa volta con l’interrogativo? Oppure è un ritorno a un passato remoto? Una cosa è certa: l’entomofagia (dal greco “entomos”, ossia insetto) non è roba da Terzo Millennio. Nella preistoria era tipica dell’umanità. Oggi è diffusa soprattutto in Africa, nei paesi asiatici e nell’America del Sud. Alcuni insetti sono considerati prelibatezze, come ad esempio le locuste in Messico e quelle al cioccolato o altre ricette in certi ristoranti di Londra. Oppure le “formiche culone” (proprio così), che vanno forte in Colombia. Nel mondo più un miliardo di persone assume insetti regolarmente, in 113 paesi. La scienza stima che circa 2 mila specie di insetti conosciute sarebbero commestibili, mentre l’Europa – per ora – si accontenta e ne legittima tre.
Ma perché gli insetti? Tacchini: “partiamo da un presupposto, che non è nostro, ma riconosciuto dalla FAO: il sistema alimentare non è più sostenibile, oltre un miliardo di persone sul Pianeta soffre la fame. Si calcola che nel 2050, quando gli abitanti della Terra saranno 10 miliardi, per sfamarli occorrerà aumentare l’attuale produzione tradizionale di circa il 70 per cento. Impossibile. E sempre secondo la FAO sarà necessario dare priorità alla trasformazione della filiera alimentare, cambiare produzione e tipo di consumo. In altre parole: scegliere alimenti di basso impatto ambientale e a costi contenuti”.
Nulla di nuovo sotto il sole? Per Giulia Maffei sarebbe un ritorno al passato: “Gli insetti fanno parte della nostra storia. Le prime testimonianze ci arrivano dal Vecchio testamento; gli antichi greci e romani banchettavano con i maggiolini, per esempio. Gli insetti nel piatto, ricchi di proteine, non devono necessariamente essere sostitutivi del cibo tradizionale, ma costituire un’alternativa e un supporto alimentare. Nel 2008 questa opzione è stata scelta dalla FAO come soluzione per risolvere il problema fame, sia dal punto di vista nutrizionale che sotto l’aspetto economico. L’Unione Europea ha recepito questo concetto e ha sveltito le procedure per il riconoscimento di alcune specie”.
Ancora Tacchini: “In realtà quasi tutti ci cibiamo già di insetti, anche se pochissimi ne sono consapevoli. Un esempio? Nelle caramelle di colore rosso è presente l’E 125, colorante naturale che deriva dalla cocciniglia, così come in molte bevande rosse. Non solo: si calcola che ciascuno di noi mangi almeno 500 grammi di insetti ogni anno, attraverso residui contenuti nella frutta o nei legumi. Non sempre però l’insetto può essere assorbito da tutti: nel suo esoscheletro, come in quello dei crostacei, è contenuta la chitina, componente che può provocare allergia in alcuni di noi”.
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