“In vino veritas”. Mai come adesso il detto latino è stato più veriterio. Perché dal vino si può ripartire. Vinitaly, la grande manifestazione che domenica 10 aprile si aprirà a Verona dopo due anni di assenza dovuta alla pandemia, è il termometro di una condizione socio-economica che riguarda non solo i produttori, ma anche il consumo, la socializzazione. In una parola: il nostro vivere quotidiano. I 4400 espositori provenienti da tutto il mondo ci dicono che c’è voglia di Rinascimento dopo il Covid e contro il conflitto in Ucraina. Proprio la guerra e tutto ciò che ne consegue stanno condizionando in parte il settore vitivinicolo italiano, con il blocco delle esportazioni verso la Russia. Mercato non marginale, rapporti che si sono interrotti o raffreddati anche in Piemonte, con scambi che durano da anni, interessi reciproci e investimenti di imprenditori dell’Est sulle colline del Novarese. Dire che il Vinitaly è un “peacekeeping”, che potrebbe contribuire alla pace, sarebbe troppo. Ma sicuramente la più grande assise del pianeta dedicata ai vini è un momento di distensione, se non di unificazione. Per questo bisogna esserci, non da remoto. Il vigneto Italia si conferma ad altissimo livello. Gli ultimi dati dell’Osservatorio Vinitaly-Nielsen ci dicono che la voglia di riscatto si è già iniziata nel 2021, con alcuni spunti che fotografano una svolta anche sotto il profilo delle scelte. Il gradimento degli italiani per il vino è ai vertici, ancora più alto rispetto all’ultimo periodo pre-Covid. Lo scorso anno l’89% ha infatti bevuto vino, un dato in crescita rispetto al 2019, per effetto soprattutto di un’impennata della platea di giovani maggiorenni, ma con un approccio diverso: moderato e consapevole. Come dire: più consumi, ma meno quantità pro capite. I consumatori appartenenti alla “generazione Z” e millennials (18-41 anni) sono infatti aumentati sul piano numerico (dall’84% al 90%), ma non sulle quantità, mentre rimane invariata l’incidenza dei clienti della “generazione X” (89%, 42-57 anni) e si abbassa la quota dei baby boomers (over 57 anni), che perdono il primato della numerosità (non della frequenza al consumo) passando dal 93% al 90%. Percentuali che sotto il profilo sociologico inducono a riflessioni e fotografano un’Italia in netto cambiamento. Insomma “In vino veritas”.
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