Adesso è quasi “guerra” con il Vietnam. Ma nessuna reminiscenza dei Vietcong e di quella tragica pagina. Questa volta parliamo di riso che – guarda caso – interessa Hanoi, l’Unione Europea e in particolare l’Italia. L’acordo di libero scambio tra la Repubblica socialista del Vietnam e l’Ue, firmato il 30 giugno 2019, entrerà in vigore il 1° agosto 2020: significa, in altre parole, il quasi completo azzeramento dei dazi doganali (-99%) e un contingente a dazio zero di circa 80 mila tonnellate di prodotto in ingresso dal Vietnam nel mercato comunitario. Insomma, un’insidia per la nostra produzione che già è fortemente attaccata dall’arrivo di riso tipo japonica (la stessa varietà coltivata in Italia) dal Myanmar. La filiera risicola europea era già riuscita a bloccare in parte le importazioni a dazio agevolato dalla Cambogia e dallo stesso Myanmar (ma solo per il riso tipo Indica) e ora si trova a dover fronteggiare nuovi incursioni. Non può abassare la guardia. Un’altra riprova? L’Ente Nazionale Risi ha comunicato che a seguito delle osservazioni formulate per suo conto da un noto studio legale del settore, l’Ufficio Marchi dell’Unione Europea ha rimosso dal registro la domanda di marchio “Riso” presentata all’UE da una industria vietnamita. L’attività dell’ente italiano è stata svolta attraverso il suo continuo servizio di monitoraggio di registrazione dei marchi che potrebbero creare difficoltà al settore.
La tutela del riso made in Italy passa anche attraverso altre azioni. La ministra Teresa Bellanova ha firmato un decreto che proroga l’indicazione dell’origine in etichetta del riso sino al 31 dicembre 2021. Il decreto riguarda anche il il grano duro per paste di semola.
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