Il manifesto dell’Ente Nazionale Risi è degli anni ’50: invitava gli italiani a mangiare il bianco cereale. Quel manifesto è comparso in una puntata televisiva de <Il giovane Montalbano>. Nel bar <Castiglioni> di Totò Valletta (alias l’attore Dario Veca), frequentato abitualmente dal giovane commissario, dietro la cassa campeggia una bionda casalinga che butta in pentola il riso, e sullo sfondo nero c’è una doppia scritta: in alto, “Il riso dona forza e salute”, e in basso, l’esplicito “Mangiate riso”.
Salvo Montalbano forse non ci fa caso ma – come dice una nota dell’Ente nazionale Risi – non è proprio del tutto casuale che il regista Gianluca Maria Tavarelli e la produzione abbiano scelto un manifesto che invitava a mangiare il riso nella terra degli arancini. Infatti, è lo stesso Andrea Camilleri, nel racconto intitolato proprio “Gli arancini di Montalbano”, che descrive nei dettagli la ricetta di Adelina, la sua cameriera, spiegando come vengono preparati questi mitici arancini.
“Adelina – scrive Camilleri – ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa, (senza zaffirano, pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d’una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d’ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s’infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d’oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano!”. Un brano bellissimo che nella serata conclusiva organizzata dall’Ente Nazionale Risi a Expo è stato declamato dall’attore Roberto Sbaratto.
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