di Gianfranco Quaglia
Sera di maggio. Le luci della città profilano lo skyline di Novara che si intravede a distanza con un vertice illuminato, la cupola di San Gaudenzio. Tutt’attorno il buio che abbraccia la risaia è interrotto da tanti, piccoli lampi intermittenti. Centinaia di micro-bagliori che affascinano e ci ricordano un mondo d’antan che sembrava perduto: le lucciole. Erano scomparse da tempo, sconfitte dall’uso intensivo di antiparasitari e da un habitat diventato ostile. Ma quando Cesare Tromellini e la moglie Ana Gremminger (foto) qualche anno fa scelsero di mettere mano all’azienda agricola San Maiolo, decisero anche che avrebbero riportato quella magia attraverso il recupero di pratiche agronomiche antiche e compatibili, anticipando quella che poi sarebbe stata l’agricoltura sostenibile. Forse quel mondo fiabesco lo vide anche l’abate Maiolo, fondatore dell’ordine cluniacense, quando nella seconda metà del ‘900 D.C. scese in Italia dalla Francia per un viaggio a Roma. Piace credere che in una delle numerose tappe si fosse soffermato anche alla periferia di Novara. Morto Maiolo e in seguito consacrato santo, la sua opera si espanse in tutta Europa e in particolare in Italia. Una cosa è certa: già nel 1039 nei terreni dell’attuale cascina San Maiolo esisteva una cappella dedicata al santo, il quarto abate di Cluny. La realizzarono i suoi discepoli, gli abati che raccolsero il testimoni e diffusero l’opera attraverso la costruzione di abbazie e grange, complessi rurali tipici tenuti da comunità di monaci. E’ molto probabile che anche cascina San Maiolo fosse alle sue origini una grangia alle dipendenze di un’abbazia cluniancense.
I monaci non ci sono più. Nei secoli si sono susseguiti i passaggi di proprietà, ma sono rimasti i segni e il senso di quell’attività cluniacense improntata al lavoro e alla preghiera. E il simbolo più evidente è proprio la chiesetta conservata all’interno del fabbricato che si affaccia sulla corte, un tempio consacrato che Cesare e Ana curano con particolare amore. qui si celebra ancora e sull’altare c’è un busto di legno, risalente al XVII secolo, che raffigura San Maiolo. Tutto qui sembra parlarci del passato, a cominciare dall’antico refettorio dei monaci riattato e trasformato in sala convegni.
Cascina-laboratorio, quella di San Maiolo, anzi fattoria didattica, punto di riferimento per le scuole. Non solo lucciole da osservare, ma pavoncelle, cavalieri d’Italia, garzette, germani reali, nitticore, aironi cenerini, aironi bianchi e rossi e piro piro piccoli. A favorire l’habitat due zone umide con terreni mantenuti bagnati durante la maggior parte dell’anno dove la vegetazione si sviluppa in modo spontaneo) e un lungo filare formato principalmente da grosse querce.
Poi, il riso. Certificato secondo l’agricoltura integrata con il marchio Sqnpi (Sistema di qualità nazionale produzione integrata). Quindi minimo impatto, rotazioni e attenzione all’ambiente, tanto da ottenere il prestigioso certificato Global.A.P. (The international standard for safe and sustainable agriculture). Le varietà prodotte: Carnaroli bianco, Carnaroli integrale e Vialone Nano. Sul packaging delle confezioni, naturalmente, il richiamo all’Alto Medioevo e a Cluny, con l’effigie di San Maiolo. Che anche questa estate, lunga e interminabile, con una calura sopra la norma, forse ha dato uno sguardo: il raccolto è stato buono, le varietà non hanno sofferto più di tanto.
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