di Enrico Villa
Nello scorso mese di agosto, in piene vacanze, Gian Marco Centinaio, ministro delle politiche agricole e del turismo, ha firmato il decreto 26/08/2018 sui prodotti di montagna. Il dispositivo giuridico, che anche propone il grafico del marchio paesaggio montano con la scritta montagna, dovrà accompagnare le carni, i formaggi, i vini e gli altri prodotti che sono ottenuti nelle montagne italiane e che, di conseguenza, considerano con molta attenzione i consumatori e i turisti che salgono oltre i 900 metri di altitudine. In realtà l’indicazione montagna riguarda anche le colline che caratterizzano la nostra Penisola. In Piemonte – è un esempio – il 50% circa del nostro territorio è montuoso e il 30% è collinare.
Sia un’area che l’altra hanno evidenti caratteristiche, come ha sottolineato un comunicato firmato da Maurizio Martina predecessore di Centinaio che con il suo staff ha curato l’elaborazione del decreto per i prodotti di montagna e che, come evidenzia la nota ministeriale, ha insistito su tre aspetti i quali dovrebbero valorizzare le zone di montagna, o di collina: il valore economico delle produzioni; anche tenendo conto di quanto è appena accaduto nei boschi inceneriti del Pisano, la tutela derivante dal nuovo testo unico sulla forestazione; la difesa del paesaggio, valore aggiunto da un punto di vista turistico. A disposizione fino al 2020 sono stati messi fino a 3 miliardi di euro, che provenendo in parte dalle casse della Unione Europea, dovrebbero intrecciarsi con la nuova Pac (Politica Agricola Comune) attualmente in stesura. Per il primo esercizio dovrebbero essere a disposizione alcune migliaia di euro, forse circa 14 milioni i quali dovrebbero sostenere le iniziative per il commercio dei prodotti di montagna. La destinazione dovrebbe riguardare le aree alpine e collinari con questo valore produttivo complessivo: 9,1 miliardi di cui 6,7 miliardi in collina e 2,4 miliardi nelle Alpi occidentali e orientali. Non solo: secondo gli ultimi accertamenti statistici, lentamente la popolazione di montagna starebbe ricrescendo nella misura di circa il 10%. A questo va aggiunto il forte interesse dell’agricoltura delle pianure italiane per quanto succede nelle terre alte sia da un punto di vista della qualità della vita che come sta accadendo in relazione alle fiumare improvvise in meridione e nelle isole. Infatti solo con la presenza della popolazione attiva e dei concreti interventi istituzionali potranno essere assicurati acqua a sufficienza e un conseguente reale equilibrio idrogeologico.
Questo aspetto, particolare ma fondamentale, riguarda l’Unione Europea nel cui territorio vasto e plurinazionale le montagne, le colline, i corsi d’acqua sono preminenti. E prendendo atto di questa realtà, che anche si riconnetterà al successivo decreto italiano, nel 2014 l’UE promulgò il Regolamento n.665 a cui le istituzioni e la gente di montagna hanno fatto riferimento fino all’arrivo, appunto nello scorso agosto, dello specifico decreto ministeriale italiano. Il suo impianto giuridico tiene presenti gli aspetti economici per favorire le zone ma anche “non dovrebbe essere burocraticamente limitativo”. Per ragioni industriali e commerciali il decreto sui prodotti di montagna dovrebbe, infatti, autorizzare nelle aree distanti dalle montane e della collina il 75% di carne suina e il 40% di carne bovino nonché di altri generi alimentari, come gli ortaggi e la frutta, ottenuti nelle valli. Ed è evidente in questi casi, salvo azioni truffaldine non previste, che i consumatori anche turistici vadano a cercate in loco generi di qualità con il marchio di montagna proposti nelle cooperative e in altri empori. Con il cambiamento di atteggiamento dei consumatori il maggior numero degli stessi ricercano la qualità e la genuinità del prodotto ma anche la sua storia, espressione del territorio come anche si propone come finalità il decreto del ministero delle politiche agricole e del turismo.
Il Piemonte, come del resto tutte le aree montane e collinari italiane, hanno sicuramente le carte in regola per soddisfare i criteri distintivi più di un tempo voluti dai consumatori, come in tante loro interviste hanno alluso esperti come il piemontese Lido Riba e il lombardo Enrico Borghi presidente della Fondazione dedicata alla montagna e voluta dalla Cariplo e da altre istituzioni. La regione subalpina vanta ben 69 formaggi di pregio, tutti con una storia territoriale e secolare derivante dalla tradizione delle diverse popolazioni. In primo piano sono i formaggi che si acquistano in montagna e non nella grande distribuzione: caprino o crava, maccagno, le tre tome delle Alpi piemontesi che si accompagnano con salumi di bovino e di suino, miacce (una sorta di pizza di montagna inventata dal popolo Walser di Alagna e Macugnaga), pane casareccio esclusivamente offerto dai forni dei villaggi novaresi, valsesiani e biellesi, bra, costamagna, murazzano, miele e dolci. I formaggi di montagna secondo le antiche regole ottenuti negli alpeggi appena lasciati per l’autunno incipiente, ma di continuo perfezionati nella confezione, con l’ Ossolano aprono l’elenco dei formaggi nelle province di Novara e Verbania. L’Ossolano Dop è un formaggio antico che giunge dall’anno Mille, con la virtù di conciliare il consumatore amante della storia e di un nuovo marchio indelebile che anche avrà corso in una parte affascinante delle Alpi occidentali e della Valle dei Pittori, a due passi appena dalla fortemente turistica Svizzera ticinese.
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