Il rebus del greening rompicapo in campo

di Gianfranco Quaglia

Greening, parolina magica la cui traduzione dall’inglese si presta a numerosi significati: inverdendo, inverdimento, verdeggiando, mela dalla buccia verde. Ma anche ingannando. L’Unione Europea l’ha presa a prestito per applicare la nuova Pac (Politica agricola comune), che da qui al 2020 sarà la base per i sostegni alle aziende. Fortemente ispirata aun concetto ambientale e ecosostenibile, la riforma prevede che ai fini della corresponsione degli aiuti sia obbligatoria la diversificazione delle colture nell’ambito dei seminativi. Qualche esempio: se l’azienda ha più di 10 ettari a seminativo e meno di 30 dovrà obbligatoriamente seminare due colture differenti in termine di genere botanico e quella principale non deve superare il 75% del totale. Nel caso in cui la superficie è superiore a 30 ettari le colture diventano tre e quella meno rilevante deve incidere sul totale per almeno il 5%. Ancora: le aziende con più 15 ettari seminati devono destinare almeno il 5% alla creazione di aree di interesse ecologico (il set aside obbligatorio o messa a riposo dei campi). Vale la pena di richiamare alcune raccomandazioni che Confagricoltura indirizza ai suoi associati nel tentativo di far luce in questo rebus: per calcolare le quote ogni ettaro di superficie può essere conteggiato una sola volta prendendo in esame la coltura principale, quella che occupa il periodo più lungo; oppure la coltura per essere considerata principale-diversificante va valutata prendendo in riferimento l’intera campagna.
Ma chi controllerà se le regole saranno applicate correttamente? Gli organismi pagatori, dice la legge, in base alle dichiarazioni delle aziende che devono rispettare gli obblighi. In subordine il controllo oggettivo è affidato al telerilevamento e all’eventuale visita in campo, ma solo per il 5% delle aziende.
Non sono soggette agli obblighi le imprese con colture sommerse (le risaie), in quanto considerate greeningforme, se rappresentano il 75% della superficie e quella restante è inferiore a trenta ettari.
Questa l’agricoltura proiettata verso il 2020. Bruxelles ha dettato l’agenda, con regole ferree che premiano l’aspetto ecologico, ma al tempo stesso impongono norme rigide anche alla fantasia e all’iniziativa singola.

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