di Enrico Villa
Governare il mercato o lasciarci governare? Il quesito è comparso in un titolo de L’Agricoltore del 15 settembre scorso (Confagricoltura Vercelli/Biella, direttore Paolo Guttardi). La domanda, interessante perché sottende una situazione precaria, si riferisce al settore del riso, con prezzi di mercato calanti. Ma può anche essere generalizzata perché si può riferire alla galassia del mercato dove i consumatori, da semplici acquirenti sono diventati protagonisti, portatori di valori che le aziende non devono più trascurare. Gli americani, più avanti degli europei, se si eccettuano i tedeschi e gli inglesi, con la dizione customer company considerano il consumatore una azienda portatrice di valori e di interessi che sempre più tende alla infedeltà commerciale, decisa per risparmiare e passare da un prodotto all’altro. Anche in questo caso gli USA, nonché il mondo anglosassone, hanno definito il comportamento inarrestabile in questo modo: switching economy dove c’è sempre meno certezze per gli interlocutori ai quali piazzare beni che prescindono dagli antichi valori territoriali e della vecchia tradizione della ottocentesca civiltà contadina (L’albero degli zoccholi di Ermanno Olmi).
In un commento della fine di ottobre, Coldiretti (presidente Robero Moncalvo, ampie dichiarazioni sulla specifica materia) ha titolato in questo modo un suo editoriale: Coldiretti -Censis, spesa a Km zero per 43,4 milioni di italiani. E lo stesso Moncalvo, riferendosi alla Fondazione Campagna Amica, ha tratteggiato della stessa questo quadro che ha ricordato: 9030 fattorie in Italia che vendono direttamente i loro prodotti, 1135 mercati, 171 botteghe cui si aggiungono 485 ristoranti (ndr: magari gestiti da agrichef, sostantivo coniato riferendosi ai cuochi stellati che scrupolosamente si servono di prodotti a chilometro zero), 2011 orti urbani e 34 punti di street food dove arrivano prodotti coltivati su circa 200 mila ettari di terreno. Dai dati statistici discende che per il mercato dei contadini siamo diventati più bravi degli americani con il 40,7% degli italiani i quali preferiscono i prodotti freschi a kilometro zero, comperati stagionalmente: acquistare prodotti a chilometro zero – argomenta Roberto Moncalvo – è anche un segnale di attenzione al proprio territorio, alla tutela dell’ambiente e del paesaggio che ci circonda, ma anche un sostegno all’economia e all’occupazione locale e che si tratta di una responsabilità sociale diffusasi tra i cittadini nel tempo della crisi…
Il consumatore, o il cliente che adesso passa da un supermercato all’altro o da una bancarella all’altra per risparmiare, era stato delineato, quale primo interlocutore del mondo agricolo, da Paolo Bedoni, presidente di Coldiretti fino al 22 dicembre 1997. Però gli uomini di marketing, che con le loro statistiche ormai diventano il principale riferimento per chi produce per vendere, hanno del mercato una visione meno sociale e poetica. Secondo loro – e considerando un veloce passaggio “per convenienza” da un supermercato all’altro – il massimo obiettivo è il risparmio, difficilmente conseguibile dalle strutture commerciali tradizionali. Le inchieste e i sondaggi effettuati nel 2015, andando a caccia di offerte e di etichette delle aziende commerciali, hanno consentito al nuovo consumatore infedele risparmi di 7.500 euro all’anno che diventano 6 mila euro circa per una famiglia di quattro persone. Il calcolo anche si riferisce alla alimentazione e ai supermercati, ma soprattutto a assicurazioni, telefoni, controlli medici, cellulari, gas e luce, internet, banche. Lo stimolo maggiore (e lo strumento) vengono da Internet che consente le comparazioni da cui sono esclusi i consumatori prima maniera a suo tempo individuati da Paolo Pedoni su cui il mondo agroalimentare pare che in parte continui ad essere adagiato. Mancando una informazione adeguata e martellante, anche effettuata da volantini settimanali, i sondaggi del Global Consumer Pulser Researc 2015 e del Sole 24 ore hanno sentenziato: i clienti in fuga (ndr: dalla tradizione) valgono 250 milioni di euro all’anno che, a livello globale diventano, 5,5 miliardi. Nella voragine, sempre a giudizio della ricerca Accenture, la capacità di reddito delle famiglie italiani che si approvvigionano di merci è del 24% calcolato sulle possibilità finanziarie medie, con una crescita del 10% stimata nel 2016. I sondaggi e le inchieste per il manager marketing Paolo Cordero, secondo cui la semplice soddisfazione del cliente “non basta più” ha anche riservato una sorpresa positiva coincidente con la impostazione di Coltivatori Diretti: l’89% dei consumatori italiani è disposto a pagare di più per un messaggio e una maggiore efficienza percepiti attraverso Internet dal quale nel nostro paese sono ancora esclusi almeno 20 milioni di persone. Anche per questo le stesse aziende agroalimentari, singolarmente o in cooperativa devono attrezzarsi per favorire l’accesso attraverso i computer e i telefonini di nuova generazione.
Infatti, già dal 2016 con il sistema dell’estreme couponing, secondo i coupon ormai utilizzati dffusamente dalle marche, l’acceso normale alle più popolari piattaforme commerciali – dalle quali in genere mancano i brand del riso, al massimo sotto al voce pasta – i 5 milioni di clienti (dato del 2015) non aumenteranno, con evidente danno per l’agroalimentare che, in ogni caso, non potrà più fondarsi soltanto sulla tradizione.
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