di Enrico Villa
Il riso Maratelli, semifino da risotti e minestre con grande popolarità dagli anni Trenta agli anni Ottanta del Novecento, ha un secolo. Nel 1914, un cespo di riso diverso dal Chinese Originario che si coltivava nelle campagne della zona di Asigliano Vercellese attrasse l’attenzione di Mario Maratelli (1879/1955) che dopo la seconda guerra mondiale grazie al novarese Paolo Bonomi e al “pavese di Palestro” Renzo Franzo e alla loro associazione professionale sarebbe diventato un “imprenditore coltivatore diretto”. L’agricoltore era intento “a rifinire” con la monda una sua risaia e notò una pianta e alcune pannocchie diverse dal cereale coltivato in quel territorio e, in genere, nella più vasta area della “bassa vercellese”. Invece di considerarlo erbaccia, isolò il cespo, raccolse i semi e riseminò nella primavera successiva.
Il suo intuito fu premiato. Quel riso, sicuramente figlio del Chinese Originario, ma diverso per stabilità genetica, robustezza e resa unitaria, fu un successo condiviso da molti suoi colleghi. Nel 1921 conquistò l’iscrizione al registro delle varietà italiane di riso, oggi più di novanta e “figlie” della ricerca scientifica e dei laboratori. Nei sessanta anni successivi il “Maratelli” si diffuse a ritmo crescente in Piemonte, Lombardia e in altri areali della Pianura Padana, diventando un esempio nella storia della risicoltura nazionale almeno per tre motivi. E’ stato la conseguenza di un processo di “mutagenesi naturale” che oggi dimostrerebbe come si possono ottenere risultati genetici evitando il ricorso “forzato” alle procedure proprie degli OGM (organismi geneticamente modificati). Questa varietà autoctona è riuscita ad opporsi validamente al brusone, peste risicola per cui, nel 1908 con Novello Novelli, fu istituita a Vercelli la Stazione sperimentale di Risicoltura. Il riso semifino Maratelli è una delle prime testimonianze felici dell’applicazione del marketing per consolidare la sua immagine presso i consumatori che nei tempi di maggior fulgore di questa varietà più semplicemente si chiamavano massaie, o anche cuochi.
Gianfranco Quaglia racconta in “Agromagazine” come la memoria del “Maratelli” continui ad essere produttivamente viva in aziende del Novarese dove il passato è religiosamente conservato con investimenti specifici. Gli eredi di Mario Maratelli – in particolare i nipoti Augusto agronomo che si è dedicato alla formazione di tecnici agricoli e Vittorina, adesso bancaria – narrano con numerose iniziative la saga della loro famiglia. E’ appena uscito il volume “Mario Maratelli, una storia importante” del nipote Augusto dove le statistiche provano come nel tempo, dagli anni Trenta agli anni Ottanta, questa varietà è stata coltivata nella misura del 5,8%. Altre varietà popolari, come Arborio, Vialone, Carnaroli hanno conseguito percentuali analoghe imponendosi. Ad Asigliano, sabato 17 maggio, il libro di Augusto Maratelli, la saga della famiglia e i successi della varietà provati dalle statistiche diventeranno il tema di un convegno. Sarà presente anche Bruno Gambarotta, autore della prefazione al libro di Augusto – fra l’altro sponsorizzato da Regione Piemonte, Provincia di Vercelli e comune di Asigliano – che nelle sue conclusioni ha annotato: “Mario Maratelli è più vivo che mai”. Gambarotta annota anche come certe scoperte poi applicate tecnicamente avvengano per caso. Nel riso è più raro. Negli anni Novanta, con sostanziosi investimenti, la multinazionale Basf introdusse il metodo brevettato Clearfield per cereali conseguenza di mutagenesi naturali “no Ogm” contro patologie devastanti, come ad esempio il “riso crodo”. Le nuove varietà Clearfield si chiamano poeticamente Sole, Luna, Sirio, Mare. Ma non hanno il fascino storico del “Maratelli”, recentemente riproposto con il “nuovo Maratelli”, ai suoi primi passi nelle risaie italiane e dell’Europa meridionale.
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