La Giunta regionale del Piemonte ha espresso parere favorevole alla richiesta di riconoscimento di indicazione geografica protetta (IGP) “Giandujotto di Torino, già presentata dal Comitato torinese al ministero dele Politiche Agricole e alla Regione. Passo importante, perché il prodotto dolciario torinese per eccellenza merita di essere conosciuto in tutto il mondo, come sottolineano il presidente della Regione, Alberto Cirio, e l’assessore all’agricoltura e cibo, Marco Protopapa.
In quel cioccolatino dalla forma di barca rovesciata, incartato con un involucro dorato ma anche ad altri colori, è contenuta anche la storia di una città e di un territorio, caratterizzati l’una e l’altro da maestri pasticcieri e grandi agricoltori. Ma c’è anche un risvolto economico e politico, che per certi versi ci rimanda all’attualità. Vediamo perché. Siamo agli inizi dell’Ottocento quando i maestri cioccolatieri torinesi miscelando cacao, acqua, zucchero e vaniglia, dando forma al primo cioccolatino. Ma l’invenzione dura poco, perché Napoleone, con un decreto applica sanzioni che vietano agli inglesi, all’epoca tra i principali esportatori di cacao, di attraccare con le loro navi nei porti dei territori soggetti al controllo francese. A quel punto il principale ingrediente comincia a scarseggiare, a diventare più costoso (è una storia che conosciamo bene ai nostri giorni per l’energia). I pasticcieri si trovano in difficoltà, ma si affidano alla fantasia: si chiama nocciola, prodotto di cui il Piemonte è ricco. Lavorando la nocciola si ottiene un nuovo prodotto, da aggiungere in dosi massicce al poco cacao rimasto. Con l’introduzione della Tonda Gentile delle Langhe nella ricetta prenderà corpo il giandujotto, così chiamato nel 1856 in onore della maschera Gianduja. Una bella storia di resilienza e sinergia tra il mondo dolciario e l’agricoltura.
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