di Gianfranco Quaglia
Un Central Park di casa nostra, più esteso di quello newyorkese, attivo e misconosciuto. Esiste già, ha un’estensione di 150 chilometri e ne misura 80 in larghezza. Andrea Rolando, docente al Politecnico di Milano, lo ha ampiamente individuato: rappresenta un’altra potenzialità piemontese dopo l’inserimento di Langhe-Roero-Monferrato nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità. Il Central nostrano ha come punto di partenza Torino e quello d’arrivo Milano o viceversa. Una direttrice lungo la quale scorrono fiumi, canali come il Cavour e il Naviglio Grande, strade poderali, tratti di ferrovie locali e si riscoprono cascinali. Oltre all’immenso polmone della risaia che rappresenta un rifugio e un habitat per molte specie protette.
Insomma un parco di dimensioni tali come non ne esistono in Europa. Con infrastruture che rendono possibile l’accesso al paesaggio senza difficoltà, usando una volta la bicicletta, un’altra la rete ferroviaria, l’auto o semplicemente i piedi. Il Central Park piemontese-lombardo, appena diviso in due dal Ticino, fiume nel quale da poco è stata riproposta l’idrovia, è un potenziale straordinario che guarda a Expo 2015. E con una prospettiva ancora più lungimirante, che parte dal 1° novembre dell’anno prossimo data di dismissione dell’evento, per proseguire il legame con i milioni di turisti arrivati da tutto il mondo.
L’obiettivo è trasmettere la conoscenza di un qualcosa che appartiene in modo connaturato all’Italia, una traccia verde che collega due grandi città, Torino e Milano appunto, attraversando Vercelli, Novara, sino a lambire la catena delle Alpi.
Terre un tempo selvagge, oggi patrimonio dell’umanità anche se non hanno ancora ottenuto il riconoscimento dell’Unesco. Il Central Park made in Italy è un capolavoro di rispetto dell’ambiente e al tempo stesso di trasformazione da parte dell’uomo intervenuto per modificare senza alterare. Il grande viaggio in questa riserva naturale mette in luce tutto ciò: la capacità di coniugare sostenibilità con economia, grazie un’agricoltura custode del territorio, come lo è la risaia che ci è stata consegnata.
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