di Gianfranco Quaglia
Agricoltura conservativa con minima lavorazione del terreno per ridurre i costi, risaie installate sui tetti. I giovani agricoltori guardano oltre e lo dimostrano a Fiera in Campo di Vercelli, una delle manifestazioni più significative nel settore risicolo italiano. Crisi generale e concorrenza dei mercati globali non spaventano. Centro fiere di Carasanablot, pianura alla periferia del capoluogo vercellese, sullo sfondo il massiccio del Monte Rosa. Qui sembrano lontani gli echi di una politica commerciale che da un paio d’anni penalizza la risicoltura Made in Italy a causa dei dazi concordati con paesi del Sudest asiatico, tali da dirottare verso l’Europa una valanga di riso da Cambogia e Myanmar. Paesi che – in virtù di negoziati bilaterali – possono esportare in assoluta libertà, cioè senza pagare dazio. Tutto ciò – si dice ufficialmente – per aiutare le popolazioni di quei territori riconosciuti meno avanzati. La realtà è ben diversa, suona quasi come una presa in giro per i contadini cambogiani e i giovani imprenditori italiani, che a Vercelli «ci mettomo la faccia perché il riso abbia la sua», come recita lo slogan. Giorni fa, durante un convegno organizzato da Confagricoltura a Torino, lo ha ribadito l’europarlamentare piemontese Alberto Cirio, che a Strasburgo è anche membro della Commissione Agricoltura. Il riso europeo come merce di scambio per multinazionali che nei paesi del Sudest asiatico, soprattutto in Cambogia, perseguono altri obiettivi. Già si sapeva, ma il «j’accuse» di Cirio circostanzia ancora di più un fenomeno che l’Europa e in particolare l’Italia sono costrette a subire. I paesi meno avanzati sono un bacino di consumo emergente da sfruttare, con potenzialità numeriche impressionanti. Ma i redditi bassi non permettono agli abitanti di acquistare manufatti specifici prodotti dalle stesse industrie dell’area Ue. E così Bruxelles consente ai cambogiani di vendere il proprio riso nell’area Ue senza pagare tariffe doganali: il denaro ricavato dovrebbe riversarsi sull’economia di provenienza mettendo in condizione gli abitanti di «fare la spesa». Di che cosa nello specifico? Non solo strumenti di precisione, elettronici, ma farmaceutici. Sì, proprio le medicine. Le multinazionali del farmaco, anche europee – denuncia l’europarlamentare – hanno deciso di sfondare nel Sudest asiatico. Ma per raggiungere lo scopo devono agevolare le popolazioni di quelle aree procurando loro denaro liquido. Ed ecco il baratto: ti consento di esportare il tuo riso e ti pago. I soldi da te incassati mi torneranno con le medicine che tu acquisterai.
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